Per Una Cultura Della Compassione Prospettive Di Etica Cristiana

Tracciare i lineamenti della compassione,
tradizionalmente definita in termini di
«sentimento di pietà verso chi è infelice, verso i
suoi dolori, le sue disgrazie, i suoi difetti;
partecipazione alle sofferenze altrui», oppure
nel senso più ampio ed etimologicamente più
preciso di «patire insieme» 1, nel mondo del
vivere e del pensare odierno diventa un
impegno sempre più complesso. Questo è
dovuto al fatto che le attenzioni rivolte a quella
verità espressa con il concetto compassione,
soprattutto nel pensiero occidentale di varia
ispirazione, sono cambiate. Nella letteratura
recente il tema della compassione viene trattato
con un approccio multidisciplinare, con il
riferimento ad una ampia gamma di dati
generati da ricerche di vario tipo 2
quali: le
origini evolutive della compassione radicate
nello sviluppo del sistema motivazionale di
accudimento nei mammiferi, con le condotte
corrispondenti3
; il funzionamento del cervello e
il ruolo fisiologico del sistema nervoso
vegetativo nella regolazione dell’affetto per
raggiungere la calma e il rilassamento grazie
all’attivazione dei sistemi di elaborazioneaffiliativi 4
; gli effetti benefici fisiologici,psicologici e comportamentali delle relazioni
affettive sulla persona e le conseguenze
negative in caso della loro mancanza5. Un altro
ambito ampiamente presente nella bibliografia,
in cui si evidenzia la centralità del concetto di
compassione, è relativo all’etica buddista 6.
Inoltre, va evidenziato il crescente numero di
proposte per coltivare la compassione attraverso
specifiche tecniche, ritenute promettenti
nell’aumentare la capacità di essere

compassionevoli e persino di influenzare i
processi fisiologici e psicologici, potenziando
così la maturazione della persona come soggetto
etico7, con finalità di accettazione di sé e di
maggiore soddisfazione professionale,
specialmente nell’ambito delle scienze della
salute, proponendo la compassione come
principio guida per favorire lo sviluppo di un
mondo più umano8. Il crescente interesse attuale
da parte del mondo delle scienze per il tema
della compassione più volte rinvia alla sua
utilità per la riuscita, sociale e personale del
vivere e del convivere. Generalmente inteso
come atteggiamento di empatia per l’altro che si
traduce nella capacità di leggere le situazioni diprecarietà e di intervenire in modo dovuto9, la compassione resta spesso percepita in un’ottica
“efficientista” come una scelta di atteggiamento
operativo finalizzato ad assicurare sia lo stare
bene con sé stessi e la serenità interiore, sia i
rapporti pacifici con gli altri10.Partendo dall’inquadramento offerto del tema,
va precisato che l’interesse della riflessione
successiva non è volto né all’analisi
approfondita dei presupposti scientifici della
compassione — trattati dal punto di vista
biologico-fisiologico, innanzitutto nella
prospettiva di neuroendocrinologia del
comportamento — e neppure al suo esame nella
prospettiva psicologica, di solito volta alla
ricerca degli effetti positivi di affetti
sull’autostima e la fiducia in sé, insieme con la
capacità di socializzazione nell’ambito
professionale e relazionale. L’attenzione
primaria è quella di evidenziare un apporto della
morale cristiana per la comprensione della
compassione con l’interesse alla dimensione
etica, cioè all’implicazione della coscienza
morale della persona che ha vissuto l’esperienza
dell’incontro con Cristo, homo perfectus, in cui
l’uomo è stato pienamente rivelato a sé stesso11
.Nella possibile conoscenza della pienezza

dell’humanum autentico, resa accessibile grazie
al dono ricevuto, consiste precisamente lo
specifico del cristiano. Anche il senso della
compassione, che si apre alla luce di tale
privilegio, rinvia alla persona-soggetto morale
credente, inteso nella totalità-unità del suo
essere, e alla sua qualifica profonda a livello
della coscienza fondamentale, con le
implicazioni inevitabili per la continuità
dell’suo esistere: capire il senso della presenza
dell’altro, riconoscere l’oggettività del bene
possibile, decidere ed agire di conseguenza12. In
altre parole, ci interessa la compassione in
chiave di un atteggiamento basilare operativo
che non è una delle possibilità in vista di un
maggiore perfezionamento personale, ma una
parte costitutiva e vincolante della natura
creaturale dell’uomo, fatto all’immagine e
somiglianza di Dio e, grazie all’azione dello
Spirito Santo pienamente svelato e ultimato in
Cristo13.
Per individuare meglio il senso integrale della
compassione dal punto di vista della morale
cristiana, si intende ricuperare per gradi la
profondità dell’implicazione della coscienza
cristiana, andando oltre una semplice analisi
delle effettive opere compassionevoli. Di
conseguenza, diventa centrale la questione sulla
realtà fondante — Dio in quanto princeps
analogatum e il punto di riferimento per la
comprensione della natura creaturale dell’uomo
e della sua autorealizzazione personale e comunitaria pienamente riuscita. La domanda
sulla compassione, quindi, in primis interroga sul
concetto evocato in quanto attributo divino
essenziale. In seguito, una breve analisi della
piena rivelazione di Dio in Cristo servirà a
dischiudere il fondamento e il significato etico
dell’essere compassionevole dell’uomo. Come
ultimo passaggio, partendo dal comune umano
salvato e ricreato in Cristo, Uomo nuovo, sarà
appurata la possibilità o meno di universalizzare
la compassione in quanto tratto profondo e
costitutivo di ogni essere umano.

1. La compassione, attributo di Dio e
qualifica dell’uomo

«Parlare di un Dio indifferente […]
significherebbe condannare gli uomini
all’indifferenza» 14 . Secondo questa affermazione di Jürgen Moltmann, la comprensione
della realtà divina personale si riflette
inevitabilmente sulla conoscenza di chi è
l’uomo-creatura, imago Dei15. Questo vale anche
nella ricerca del punto di riferimento per la
giusta comprensione della compassione. Per la
ragione evocata princeps analogatum è Dio
stesso. La compassione, quindi, va vista
partendo dalla realtà divina di cui la
compassione è attributo essenziale. Solo la
meditazione su questa verità qualificante Dio
stesso e la sua piena rivelazione in Cristo potrà
dischiudere il fondamento ultimo e il significato
autentico vissuto nell’essere compassionevoli.
Nella riflessione intrapresa si parte dall’azione
creatrice di Dio come la relazione fondante:
grazie a essa viene costituito l’uomo-creatura in
quanto Tessere relazionale e modo umano di
essere nel mondo. La creazione dell’uomo a
immagine e somiglianza è la manifestazione del
pathos di Dio per l’uomo, sua creatura:
chiamato all’esistenza per l’amore, l’uomo è
creatura per amare. Ogni limite per la pienezza
della vita, causato dalla libertà autoreferenziale
dell’uomo, diventerà ormai l’inquietudine di
Dio-Amore e il suo impegno fedele per il

superamento dei condizionamenti guidando sia
una singola persona, sia il suo popolo intero
verso la maturità del relazionarsi responsabile
con Dio e con gli altri grazie alla libertà
liberata16.
Dio è dunque compassionevole: con passione e
nella gratuità del suo amore egli crea e
accompagna ogni uomo in ogni sua necessità
lungo la storia. Grazie a questa passione di Dio
— il massimo e durevole interesse per ogni
uomo e tutto l’uomo, raggiungendo tutti in
modo più adatto nella concretezza della loro
vita — si dilata anche il senso consueto della
compassione. Essa non è più riconducibile a un
semplice sentimento di pietà verso le sofferenze
altrui oppure a un emotivo patire-insieme. La
compassione, avendo l’origine in Dio stesso,
scaturisce dalla profondità del cuore della
persona umana facendo parte della sua indole:
l’atteggiamento dell’accoglienza gratuita
dell’altro in quanto parte costitutiva dell’essere
imago Dei, con una risposta vincolante al
bisogno qualsiasi secondo la regola del bene
realmente possibile, diventa decisivo per essere
un uomo autentico. Essere compassionevoli,
come lo è il Signore, per l’uomo-creatura è
imprescindibile se si vuole proseguire sulla via
dell’autentica umanità.
L’esempio specifico più eclatante della
compassione di Dio per l’uomo è l’evento
Esodo-Sinai che ha segnato il destino del
Popolo eletto. La compassione per la condizione
di un non-popolo che si era già abituato di
vivere in una non-libertà si traduce in
un’iniziativa gratuita di Dio compassionevole e
misericordioso, perdonante e salvante: «Ho
osservato la miseria del mio popolo […] e ho
udito il suo grido […]; conosco infatti le sue
sofferenze. Sono sceso per liberarlo» (Es 3,7-8).
Intervento divino di liberazione dalla schiavitù
esterna, aperta al graduale sprigionamento
interiore, segna il dono gratuito e la promessa di
Dio fatta all’umanità di camminare insieme
verso la Terra, verso la pienezza della vita,
provvedendo a tutte le necessità e i bisogni: «io
ti ho posto davanti la vita e la morte, la
benedizione e la maledizione; scegli dunque la

vita» (Dt 30, 19). La fedeltà di Dio, tradottasi
inevitabilmente in un atteggiamento e un agire
compassionevole verso l’uomo17, sua creatura,
viene confermata anche nelle parole del profeta
Isaia: «Si dimentica forse una donna del suo
bambino, così da non commuoversi per il figlio
delle sue viscere? Anche se queste donne si
dimenticassero, io invece non ti dimenticherò
mai» (Is 49,15). Di conseguenza, Dio cristiano,
Uno e Trino, Dio di comunione e di amore,
quindi, essenzialmente non può essere apathos.
Egli è sympathos ed empathos: non solo capace
di capire le sofferenze dell’altro, non solo atto
di comprendere lo stato d’animo altrui
immedesimandosi, ma è colui che “si sente
dentro” fino a farsi Uomo grazie al Cristo Gesù,
Verbo Incarnato 18 per ricostituire la pienezza
dell’umano a immagine e somiglianza.
La compassione fa parte dell’essenza di Dio
stesso; essa però non è riservata solo a Dio:
l’uomo autentico per la stessa indole creaturale
e grazie all’essere Imago, è compassionevole.
Egli vive la sua creaturalità con passione e si
relaziona all’interno dell’umanità in una
maniera accogliente dell’altro, rispondendo al
suo bisogno. Nel processo del suo divenire
soggetto etico, il dato evocato della natura
creaturale, comunque, deve essere assunto con
libertà responsabile, diventandone consapevoli e
rendendolo operativo al livello esistenzialevissuto. Tale dinamismo fa parte di una
maturazione dell’interiorità morale del credente
che, una volta iniziata, si struttura in quanto
rapporto reciproco tra la profondità della
coscienza fondamentale, qualificabile sempre
più soddisfacentemente come onestà personale,
e le sue corrispondenti incarnazioni negli atti
compassione- voli concreti.
La compassione, quindi, una volta diventata la
verifica e la via dell’essere credenti e
dell’humanum, perché rispecchia Diocompassionevole, è sempre attiva: non solo e non tanto in un semplice manifestarsi dei singoli
atti di compassione ma prima di tutto e
fondamentalmente come atteggiamento
profondo operante nella logica di carità che
porta e unisce tutto il decidere e l’agire della
persona-soggetto credente. L’unità dinamica
dell’interiorità personale moralmente
qualificabile — onestà di vita vissuta nella fede
— non permette allora di pensare il soggetto
credente prescindendo dal suo essere qualificato
come misericordioso: essere onesti
indubbiamente rinvia all’essere
compassionevoli. La vitalità della realtà
interiore indicata in termini etici può essere
descritta sia come acquisizione della virtù di
compassione all’interno di una maturazione
della persona caritatevole-virtuosa, sia come
parte costitutiva della costruzione dell’opzione
morale fondamentale cristiana di fede-caritàsperanza19.
Come già ricordato, i dinamismi unificanti
sopra evocati originano nel Dio-Amore,
perdonante e salvante. Infatti, l’uomo-creatura
plasmato in relazione e per la relazione, con la
capacità necessitante di incontrare l’altro con
passione, si fa carico anche dei tormenti,
miserie, sofferenze altrui. Non si tratta però di
una arrendevolezza — come se fosse condizione
da subire in modo passivo-remissivo, rivestito
di una certa “commiserazione” consigliata in
vista del perfezionamento di sé stessi. E un
riconoscimento nella compassione non di un
semplice sentimento passeggero ma
dell’atteggiamento verso il mondo dell’altro
aprendosi alla logica di relazione
dell’accoglienza gratuita, comprovata nella
capacità di risposta ai bisogni altrui
oggettivamente riconoscibili, di cui
consapevolmente e liberamente si assume la

responsabilità 20 . In un mondo segnato dalla
condizione umana di indigenza21 è una via per
ritrovare il valore della propria umanità.

2. Cristo compassione di Dio

È in Cristo Gesù, Figlio di Dio, che
Patteggiamento compassionevole divino verso
l’uomo raggiunge la sua massima concretezza
superando ogni limite immaginabile, inclusa la
morte. Come si esprime il Concilio Vaticano II
nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes,
«Egli [Cristo] si è fatto veramente uno di noi, in
tutto simile a noi fuorché il peccato» (GS 22).
Dio in Cristo si china verso l’uomo assumendo
la natura umana stessa: d’ora in poi nessuna
realtà e fragilità dell’uomo rimane fuori
dell’interesse e dell’azione salvifica di Dio. In
Cristo, quindi, viene dischiuso l’essenza stessa e
il senso fondamentale della compassione di Dio:
«io sono venuto perché abbiano la vita e
l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).
Il chinarsi verso l’altro nel suo bisogno, offerto
all’uomo come parte costitutiva della sua natura
personale, viene riproposto nel racconto
paradigmatico del Vangelo di Luca conosciuto
come storia di Buon Samaritano (Lc 10, 30-37).
Contro la logica prammatica e mondana,
secondo la quale il rapporto con l’altro dipende
sempre dal valore a lui attribuito in merito alla
sua posizione sociale o utilità, Gesù propone un
cambiamento di paradigma da operare offrendo
la figura eticamente interpretante l’humanum
autentico, in un contesto storico concreto che
però lo oltrepassa diventando il valido “ricordo
interpretante”22. Il racconto parte da una disputa
fra il dottore della Legge e Gesù sul grande
comandamento dell’amore, realtà ben
conosciuta da entrambi. Pur riconoscendo il suo
indiscutibile valore,l’esperto della legge a livello dei rapporti umani
concreti è preoccupato di sapere a quale tipo di
persona la prescrizione “amerai” fosse
applicabile. La domanda, quindi, è la seguente:
«E chi è il mio prossimo?» (Lc 10,29). Per dire
altrimenti, a quale delle persone che incontro
devo la mia vicinanza, la compassione e
l’aiuto23? Dietro una tale logica si cela il modo
di percepire la compassione come una delle
possibilità di relazionarsi con l’altro, passando
di seguito ai comportamenti esteriori
corrispondenti, che diventa obbligante soltanto
se la persona di fronte alla quale mi trovo si
dimostra di essere il mio “prossimo”. Tale
riconoscimento si opera secondo i criteri di
appartenenza, di convenienza o dei “meriti”
dell’altro, all’interno del modello della
“virtuosità” intesa come uno surplus in rapporto
alla qualifica personale: se vuoi presentarti più
bravo, se ritieni conveniente, in alcune
situazioni concrete puoi assumere anche una
tale disposizione, accogliendo altro nella sua
necessità, però in una maniera condizionata. In
caso contrario “si passa oltre” (cf. Lc 10,31-32).
Gesù non dà la risposta diretta ma traccia la
trama di una storia esemplare. Per terra giace un
uomo rapinato e ferito. Accanto passano tre
persone: il sacerdote, il levita e il samaritano. I
primi due vedono il ferito ma passano dall’altra
parte della strada senza fermarsi. Solo il terzo,
Samaritano, ne ha compassione24, si avvicina, sichina verso il bisognoso, lo soccorre e provvede
il necessario per la sua sopravvivenza nel futuro
immediato. E in questo momento del racconto
che Gesù si rivolge al dottore della Legge
chiedendolo: «Chi di questi tre ti sembra sia
stato il prossimo di colui che è incappato nei
briganti?» (Lc 10,36). Il quesito precedentemente posto a Gesù viene capovolto cambiando
il destinatario: è il conoscitore della Legge che
deve ritrovare il senso e rispondere a sé stesso.
La sua risposta è nota: «Chi ha avuto
compassione di lui» (Lc 10,37).
La soluzione sicuramente è corretta. Essa però
richiede attenzione perché può celare due
momenti ambigui ed eticamente importanti: il
fatto che la compassione sia intesa soltanto in
termini di atti esterni i quali, pur essendo
corretti, non originano dall’onestà come
qualifica morale del soggetto25; inoltre, che il
criterio assunto per la ricerca della soluzione
giusta, cioè corrispondente al bisogno reale
dell’altro-prossimo, nella sua determinazione
possa essere applicato soltanto a una certa
categoria di persone escludendone altre e
trasformando la compassione in un dovere
selettivo.
Per le ragioni ricordate è molto importante far
notare che nel preciso momento della risposta
spronata dal racconto viene operato un
cambiamento paradigmatico di doppia portata.
Prima di tutto, la trasformazione dell’uditore in
un soggetto attivo ed eticamente competente,
rendendolo capace di cogliere il senso dell’avvenuta inversione, grazie al cambiamento
dell’orizzonte di senso, di prospettiva riguardo
alla domanda posta e alla risposta data 26.
Inoltre, il cambiamento dell’ottica morale apre
verso la possibilità di cogliere il senso della
compassione dal punto di vista tipicamente
cristiano (e, come si vedrà in seguito,
specificamente umano). Il nuovo orizzonte di
senso dischiuso nella storia narrata non lascia
dubbio. L’agire che corrisponde alla necessità
dell’altro non nasce in seguito alla risposta alla
domanda: «Chi è il mio prossimo?» – per
decidere di mostrare la compassione soltanto a
colui che viene riconosciuto prossimo secondo i
criteri di merito o di utilità assunti. Tale agire,
in quanto riposta al bisogno reale dell’altro,
nasce per il fatto stesso della presenza dell’altro
di fronte a cui ci si trova, insieme con la
percezione dei suoi bisogni. Tale presenza, una
volta riconosciuta, fa scaturire la risposta
concreta sia al fatto di trovarsi di fronte a un
altro, sia al suo bisogno oggettivamente
riconoscibile, come tradursi assolutamente
richiesto in coscienza dell’atteggiamento,
interiorizzato e assunto come operante nella
profondità e totalità della persona, di
un’accoglienza gratuita e imparziale dell’altro.
Questo è il senso vero della compassione,
sottolineato dall’invito di Gesù «Va’ e anche tu
fa’ lo stesso» (Lc 10, 37) e assunto dalla morale
cristiana27. Infatti, non è né la posizione sociopolitica o religiosa ricoperta e neppure un
presunto merito o utilità dell’altro, ma l’umanità
stessa della persona a qualificarla come
prossimo. Senza chiedersi chi è il mio prossimo
per decidere di seguito ad aiutarlo o meno, si
invita di diventare prossimi di qualsiasi altro in
qualsiasi sua necessità. Questa è la logica diamore gratuito, questa è la logica di
misericordia/compassione cristiana. Certamente,
per discernere ed assumere come verità di
coscienza il senso indicato della compassione, il
cristiano ha una motivazione specifica. Egli è
motivato dalle parole e dall’esempio di Gesù in
cui, perfectus homo, si riconosce la pienezza
dell’umano. Per un cristiano «Cristo […] svela
anche pienamente l’uomo a sé stesso […].
Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità
su esposte in lui trovino la loro sorgente e
tocchino il loro vertice» (GS 22).
L’invito di Gesù è quindi una sollecitazione per
ritrovare la nostra autenticità di persone umane
e assumere, in libertà responsabile,
l’atteggiamento di compassione: non come
qualcosa di aggiunto al nostro modo di vedere
l’altro e di relazionarsi con l’altro per
raggiungere così un livello più elevato della
moralità, ma come atteggiamento profondo e
qualificante la nostra stessa umanità, illuminata
dalla fede, compresa e liberamente assunta in
coscienza. Essere compassionevoli quindi
significa semplicemente vivere tutte le relazioni
da persone umane. «Va’ e anche tu fa’ lo
stesso» (Lc 10,37) — sii compassionevole —
per il credente diventa imperativo della
coscienza in quanto modo autentico di essere
persona umana e di vivere da persona umana
salvata in Cristo.
Nella prospettiva indicata, Gesù Cristo è la
compassione di Dio perché è il prossimo per
eccellenza di ogni uomo. Per questa ragione
ogni cristiano nel suo modo d’essere e nel suo
vivere ed agire si riconosce in Cristo. La sua
coscienza morale si struttura solo nella fede in
Dio fattosi Uomo e gli permette di identificarsi
con Lui secondo le parole di San Paolo: «non
sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in
me». (Gal 2,20) Il Cristiano ricorda che uno dei
luoghi privilegiati dell’incontro con Dio in
Cristo è l’Altro: «In verità vi dico che in quanto
lo avete fatto a uno di questi miei minimi
fratelli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
A questo punto si apre la domanda sulla
possibilità di estensione del senso cristiano della
compassione. Per introdurre il tema sembra
pertinente il pensiero di Donatella Abignente
espresso nella sua ricerca sul Vangelo di Luca:
«La moralità dell’uomo sembra non essere
derivata, per Luca, né da una specifica riflessa
visione di fede, né da una sistematizzata antropologia. Anzi, l’istanza etica, anziché esser
dedotta, sembra essa stessa risultare decisiva per
comprendere un senso alla vita e accorgersi del
dono di Dio. Si ricorderà che è proprio Luca a
fare di un samaritano la figura dell’ἔλɛoς πoιɛῖѵ
che si realizza nel farsi πλŋσíov, cioè prossimo
dell’altro, in una compassione che è solo
autenticamente frutto di umana responsabilità
gratuita. Si tratta di prossimità verso uno a cui
non si è legati se non in forza della sua
oggettiva presenza e del suo concreto aver
bisogno»28.

3.Compassione e humanum autentico
Ripartendo dalla verità teologico-antropologica
sull’uomo-creatura e sulla pienezza dell’umano
rivelato in Cristo Gesù, incluso atteggiamento
compassionevole operativo come qualifica
tipicamente cristiana, la riflessione si
concluderà con una breve analisi eticoassiologica evidenziando il senso della
compassione nella sua dimensione
specificamente umana.
Arrivando all’ultima parte del ragionamento
sull’argomento scelto, ci si deve inevitabilmente
chiedere se il senso allargato della compassione
presentato dal punto di vista cristiano mantiene
il suo valore come universalizzabile anche oltre
i confini della fede esplicita in Dio, Padre di
Gesù Cristo. In questo modo ritorna la domanda
se la compassione, riconosciuta quale attitudine
interiore tipicamente cristiana, fosse una
categoria rinchiusa esclusivamente nello
“specifico cristiano”, rimanendo estranea e
irraggiungibile per i non cristiani e i non
credenti.
La ripresa di alcune verità della teologia sulla
creazione e di redenzione in Cristo ha permesso
di ritrovare il fondamento comune dell’umano:
nella visione cristiana ogni essere umano è
creato a immagine e somiglianza di Dio
compassionevole ed è chiamato all’esistenza
pienamente umana grazie al dono gratuito della
pienezza della vita ricevuta in Cristo. Nessuno
dunque è escluso dalla possibilità di cogliere il
senso dell’umano e di viverlo. La Costituzione
Pastorale sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo, Gaudium et spes lo afferma
esplicitamente: «E ciò vale non solamente per i
cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona

volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la
grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti e la
vocazione ultima dell’uomo è effettivamente
una sola, quella divina; perciò dobbiamo
ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la
possibilità di venire associati, nel modo che Dio
conosce, al mistero pasquale» (GS 22).
Anche la compassione, come parte costitutiva
ed espressione dell’atteggiamento di fondo di
carità, diventa, quindi, un valore umano
qualificante la coscienza di ogni uomo, a
prescindere dalla sua appartenenza religiosa. Lo
conferma pure il senso svelato del racconto
paradigmatico di Buon Samaritano. Non per
caso colui che unico si avvicina al ferito e gli
mostra la compassione è un samaritano, cioè
colui che, pur appartenendo ad una religione
abramitica, formalmente non fa parte del Popolo
eletto ed è in un rapporto conflittuale con i
Giudei. Nondimeno è in questo modo che la
compassione viene evidenziata nella sua
valenza di humanum autentico che va oltre
l’appartenenza etnica o religiosa. Di
conseguenza, si può affermare che tutti gli
uomini sono i destinatari del messaggio preciso
e annoverante: vi possono esistere le diversità al
livello di appartenenza culturale e cultuale, ma
non può esserci differenza al livello dell’essere
tutti membri della famiglia umana. Dunque, per
tutti l’unico modo corretto di rapportarsi
onestamente, e cioè umanamente dal punto di
vista etico, con qualsiasi altro è quello
dell’accoglienza incondizionata, di cui fa parte
costitutiva la compassione: riconoscere la
presenza dell’altro, accoglierlo per il fatto di
essere un essere umano, chinarsi verso di lui
nella sua necessità, rispondere al suo bisogno
secondo il bene realmente possibile29.
Certamente, nella riflessione sull’essere uomo,
per dischiudere il senso della compassione in quanto dimensione costitutiva dell’umano,
l’etica cristiana si ispira necessariamente alla
persona di Cristo e alla pienezza dell’umano
rivelata in Lui. La riflessione teologica ed eticoantropologica a riguardo, tuttavia, è esclusiva
ma non escludente. Essa apre verso il comune
umano condivisibile, abbracciando ogni persona
concreta e l’umanità intera. La compassione,
dunque, pur essendo un valore tipicamente
cristiano in quanto riconoscibile come parte
costitutiva della pienezza dell’umano rivelato in
Cristo, vero Uomo e vero Dio, si profila
necessariamente come valore autenticamente, e
cioè specificamente umano, come atteggiamento
profondo che caratterizza ogni uomo nel suo
essere e agire in quanto essere personale30.
Come ultimo riferimento si vuole riprendere
brevemente una peculiarità importante della
compassione che, se non precisata, può essere
percepita come esclusivamente cristiana. Si
tratta della capacità di compatire anche coloro
che, a causa della volontà malevole dovuta ad
ignoranza profonda riguardo alla comprensione
dell’autenticamente umano, sembrano non solo
non avere nessuna empatia per gli altri ma
neppure percepire il bisogno della misericordia
da parte degli altri. Oltre tutti i limiti indicati, la
veritiera compassione nei loro confronti si
manifesta come capacità di perdono. In realtà, la
persona per la quale l’onestà è un valore
assoluto ed incondizionato non può essere
impedita nella sua capacità di per-donare, cioè
di donare la possibilità all’altro di essere
partecipe al dono della vita anche quando
quest’altro sceglie di imporre la morte. «Padre,
perdona loro perché non sanno quello che
fanno» (Lc 23, 34). Sono le parole di Gesù sulla

croce. Parole del Signore che ancora una volta
rivela la Compassione di Dio. Perdonare —
somma ed estremamente tangibile espressione
della compassione — tuttavia, fa parte anche
esso dell’invito “Va’ e anche tu fa’ così” (Lc
10,37). La risposta all’invito rivolto a ogni
uomo, se riuscita, qualifica la persona come
onesta.
Il richiamo esplicito al pensiero di un teologo
morale, il gesuita Alain Thomasset, può servire
come un invito a ripercorrere il senso
dell’itinerario proposto: «La compassione di
Cristo non si limita alla guarigione degli
individui afflitti, ma rimette anche in questione
le credenze e i valori che li hanno relegati ai
margini di società. […] Lungi da essere una
semplice passività nel mondo, questo
atteggiamento invita i compassionevoli a
cercare le cause dell’afflizione e a interrogare i
valori e le strutture che derivano dalla logica
abituale e che perpetuano le pratiche ingiuste.
La compassione cristiana è potenzialmente
sovversiva di ogni ordine sociale, poiché essa
esprime la visione di Dio sulla sua creazione: la
concezione del Regno in cui i peccatori sono
perdonati, in cui si dà la preferenza ai più
piccoli, in cui tutti sono benvenuti al banchetto
e “il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni
volto” (Is 25,8). La compassione significa
vedere, giudicare, sentire e agire nel mondo in
una maniera nuova, alla maniera dei figli di
Dio»31.
(Ref : UUJ – Urbaniana University Journal,
Nova Series 2/2022 LXXV, pp. 87 – 102)

 

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