Nuovi scenari dell’Evangelizzazione per la Vita Consacrata in un contesto sinodale-interculturale

Grazie per l’invito di fare questa presentazione che tocca una parte di miei peccati: tra altri peccati ben più gravi. Sono contento di condividere con voi questo tema che oggi è molto attuale in questi tempi di difficoltà; precisamente si aprono nuovi scenari per l’evangelizzazione e per la Vita Consacrata in un contesto, quello d’oggi, che è il contesto sinodale — interculturale. Dunque, un argomento molto importante che noi consacrati dobbiamo affrontare con lo spirito primitivo, affrontare nuovi scenari, probabilmente abbondonarne altri, cambiare di mentalità e vivere questa situazione, che è di crisi, da tanti punti di vista con la prospettiva della novità dello Spirito che ci sta aprendo appunto questi nuovi scenari, e nuove realtà. E là dove c’è la novità di spirito, c’è per noi la fatica di imparare cose nuove. Una fatica notevole perché siamo tutti attaccati a quello che abbiamo imparato, e facciamo. E quello che facciamo da sempre, diciamo sono le sante tradizioni. Né vorremo staccarci. Invece c’è una novità. Dio apre sempre strade nuove anche con piena spiritualità oggi. Il Signore ci chiama ad una vocazione nuova, ogni giorno. Eternamente chiama Colui che non fa altro che chiamarci: in italiano ‘chiamare è il verbo amare. Dunque ogni giorno Dio ci chiama senza ripetersi, perché l’amore non si ripete. Ogni giorno ci chiama a qualche cosa di nuovo. Questa prospettiva spirituale è alla base di tutto, tutto quello che so fare.

Per la premessa ho preparato questo PowerPoint che spero vi possa aiutare a capire la fatica dei Santi Cirenei, come traduttori. Ma quando parlo veloce, di solito mi ripeto. Dunque non vi preoccupate.

Il focus di riferimento di questa riflessione sono quattro:

La natura e storia della Vita Consacrata

    che è la maestra dell’evangelizzazione

La Vita Consacrata è nata per evangelizzare, dunque non può non continuare ad essere esperta di queste nuove vie.

Il sinodo ecclesiale è in corso, dove si dà la

    parola a tutti

Nel passato i sinodi erano tutti celebrati nell’Aula Sinodale dove convengono alcuni eletti delegati della Chiesa per discutere. Questo Sinodo invece è già nato e già celebrato in tutte le chiese. Naturalmente più e meno. In genere, e celebrato nella parrocchia, attraverso varie commissioni, riunioni, condivisioni. E un Sinodo che è nato dalla parola di tutti. Nel nuovo scenario tutti intervengono. Tutti hanno la parola. Tutti devono dare, tutti devono ascoltare quello che dice l’altro nella Chiesa.

Il rinnovamento nella missione, non è più

    uni-direzionale

Qui parleremo di ciò che possa generare, nello specifico, il rinnovamento, perché la missione oggi non è più concepito come unidirezionale. Cioè un Maestro che insegna agli altri. Un evangelizzatore che evangelizza altri. Non è più così.

Il tema della interculturalità va ben oltre

     la multiculturalità

Il tema della interculturalità non è solo quella della multiculturalità, oramai i nostri istituti religiosi oggi sono tutti internazionali, non è una novità. Ci sono molte culture, ma dire multiculturalità non vuol dire interculturalità. Capite la differenza? Multiculturalità vuol dire semplicemente che veniamo da diverse nazioni e culture. Interculturalità vuol dire che queste culture stanno comunicando tra di loro. Non farò una analisi d’ognuno di questi punti, ma mi limiterò a riflettere su un punto solo. Cioè il rapporto tra acculturazione e inculturazione. Che differenze c’è? È la stessa cosa? No. Questi due termini sono spesso usati con lo stesso significato, invece dicono una realità distinta espressa in queste tre cose:

  • D’un camino comunitario, sinodale. Sinodale vuol dire che tutti intervengano in senso attivo e passivo. Tutti sono soggetti di evangelizzazione e oggetti, appuntò destinatari, dell’evangelizzazione. Questo camino comunitario sinodale ci costringe a fare la differenza tra acculturazione e inculturazione.
  • I due termine usati assieme con significati diversi sono l’espressione, il senso preciso della missione, e la vedremo. Cercheremo di vedere questo.
  • La prospettiva nella quale si pone la formazione iniziale e anche quella permanente. Perché oggi è un vero problema, la formazione permanente. La formazione iniziale, sempre monitorata, oggetto di attenzione, è anche criticata; appunto l’abuso sessuale — da tanti anni la colpa è stata data alla formazione iniziale. Non sono formati abbastanza nell’ambito affettivo spirituale passivo, è come sparare sulla Croce Rossa. E il problema dell’abuso sessuale oggi tocca la formazione permanente perché la formazione iniziale era formata nell’ambito sociale. La vocazione permanente c’è perché la formazione iniziale esiste. Ma la formazione permanente, dove sta? Chi l’ha vista? Io sono molto interessato a vedere dove è nata. Parliamo molto di formazione permanente. Ma quanto ne facciamo realmente? Non la formazione permanente da conferenze ogni tanto: la formazione permanente può essere straordinaria ma deve essere ordinaria ogni giorno nella tua comunità e con tuoi confratelli, tue consorelle, la gente che incontri, fai formazione permanente, ogni giorno cercheremo di avverarla.
  1. Acculturazione

Cosa vuol dire il tentativo di avverarla? Tentativo appunto d’acculturazione. Tentativo di pensare anzitutto come ri-esprimere il Vangelo o la propria spiritualità nella cultura di chi vi ascolta? Nei termini più semplici della lingua e il dialetto locale, è questa l’acculturazione. Il Vangelo di questa mattina, per esempio, ha espresso sia il mio carisma, la mia spiritualità, sia la mia esperienza di Dio, e ciò va ridetta nei termini di colui/di colei che mi ascolta nella sua lingua, nel suo dialetto e nella sua cultura. Cultura vuol dire tre cose:

– Mentalità: valori, ideali, e convinzione di

fondo, il modo di leggere la vita.

– Cultura vuol dire sensibilità, mentalità

intellettuale. La sensibilità invece è frutto di

un’esperienza.

soggettiva, ciò che una persona sente nella sua vita; il senso della bellezza; ciò che è bello, ciò che dà gioia, fare entrare questo vocabolo nella sensibilità della gente. Per fare capire il Vangelo, racconta una bella notizia, una bellezza della vita. Dire che il vangelo e bello, vuol dire che è bello per questa persona, per chi vive in questa cultura distinta dalla mia? Devo parlare della bellezza del Vangelo secondo la sua ideale.

 Cultura vuol dire modo di vivere: la cultura ha

tre cose. Mentalità, sensibilità, prassi, o stile di vita. Acculturazione esprime la sapienza, l’umiltà, e l’amore puro di una persona verso l’altra. Un gesto non intellettuale, è un gesto dal cuore, della mente di tutte le persone. In Latino si chiama ad-culturam Altrui ad culturazionum.

Io lascio la mia posizione e vengo incontro a te. Non ripeto semplicemente il Vangelo, si capisce con un gesto d’amore. Perché le cose belle vanno offerte, la bellezza va condivisa, non posso tenerla per me. Allora devo trovare un termine per dire che il Vangelo è una bella notizia. E lo dico allora, secondo la tua mentalità e sensibilità. E vedendo la realtà con i tuoi occhi, con gli occhi della gente, di chi ascolta, fino ad usare le stesse parole di chi mi ascolta. Le stesse parabole; la cultura sta nelle parabole, ecco perché Gesù ha detto le parabole. Gesù è stato il primo che ha fatto l’acculturazione. Tutto il Vangelo e tutte le acculturazioni, il mistero di Dio, fu detto secondo la cultura Giudaica. Cerchiamo quello che Gesù ha fatto mirabilmente. Le parabole sono un modo molto concreto, vivo, esistenziali, a colori luminosi, per far capire i misteri del Regno dei Cieli.

Le parabole sono simboli, immagini, esempi, colori, sentimenti, attese, parametri valutativi, criteri, dell’altro, di chi ascolta. Quando io evangelizzo chi ha la priorità? Io evangelizzo una persona che poi evangelizza. La priorità c’è la, la persona alla quale faccio l’Annuncio. Voglio dire che io tengo a comunicare con il cuore; per lodare devo dare la priorità e la precedenza a chi mi ascolta, l’Annuncio va dato nei termini di chi mi ascolta.

  1. Condizioni e attenzioninella formazione

Per entrare in questo spirito è da tenere presente la formazione iniziale e quella permanente.

Prima condizione non s’improvvisa l’acculturazione. L’acculturazione è frutto di una ascesi – è un termine vecchio – ascesi – proviamo i contenuti nuovi. L’ascesi è imparare un’altra lingua. Prima condizione, auto decentramento, pone l’altro al centro.

La maturità relazionale che la prima vittima dell’abuso, l’incapacità di vivere una relazione. Metto l’altro al centro della mia attenzione. L’altro ha il diritto di sentire parlare nella propria lingua. Dunque l’attenzione verso l’altro alla sua storia, alla sua cultura, perché l’altro è degno di questo. Prestare attenzione alla sua diversità, la sua vita, la diversità nel camino sinodale. Avere attenzione particolarmente delicata verso la diversità degli altri mi chiede il Vangelo. Mi chiede un modo diverso, mi provoca, che è molto utile per me. Se ripeto sempre lo stesso Vangelo, con stesse parole, stesso Messaggio, non c’è nessuna provocazione; ma dirlo in un modo nuovo è un esercizio molto solidale.

Seconda condizione — è ascesi nell’apprendimento di una nuova lingua. Molti di vuoi sono missionari/e. Quando vai in un’altra nazione s’impara la lingua. Il che non è però solo imparare le parole, è molto di più di imparare la lingua, il dialetto locale, esprimersi secondo la loro sensibilità, si tratta d’imparare nuove lingue per il Vangelo secondo questa o quella cultura. Ad esempio, non pensate solo alle singole culture dei posti, dove siate stati, ma a l’esperienza. Oggi c’è una lingua in tutto il mondo che ci crea molti problemi. Che lingua è? Quella della secolarizzazione. La secolarizzazione è ciò che reduci tutti i valori trascendentali a realtà cosi terrene, perché serve per questa vita felicità e stare bene. Qua giù ci sono i beni materiali e una cultura che appare distante dal Vangelo. Noi dobbiamo imparare a tradurre il Vangelo nella lingua secolare. Basta con lamentarci della secolarizzazione. Invece di lamentarci di questa cultura, impariamo a parlare del Vangelo in termini accessibile, che possono essere compresi da chi vive in una cultura della secolarizzazione. Dobbiamo imparare questa lingua, è un po’ complicata e difficile perché è una lingua particolarmente difficile. Ieri una persona mi ha consegnato un mio libro tradotto in Arabo. Io non sono neanche capace di leggerlo! Io non sono tanto intelligente per imparare questa nuova lingua.

Secondo punto, abbandonare la cultura religiosa tradizionale, non temete, non avere paura d’abbondonare la nostra cultura religiosa tradizionale. Che a noi è famigliare ma che ha un piccolo difetto oggi. Quale difetto? Che è una lingua morta, perché nessuno oggi più la parla — la lingua religiosa tradizionale. In una grande parte dal mondo, nessuno la parla, nessuna l’intende più, dunque per parlare una lingua accessibile oggi non possiamo accontentarci di ripetere quello che dicessero la madre o nostro padre, neanche, quelli che amano tanto la tradizione. Senza nessuna nostalgia d’un certo passato. Noi possiamo essere certo dunque che il passato dei grandi istituti, delle tante vocazioni, delle tante comunità, delle tante costruzioni sempre più grandi, questo passato non tornerà mai più. Né siamo certi, e non solo non tornerà più, è un bene che non tornerà più.  Questi non percepiscono una storia. La storia sta camminando, e non possiamo avere paura della storia che cammina. Certo questa storia è aperta. Dobbiamo abbandonare un certo tipo di mentalità per entrare nei nuovi scenari, in questi nuovi scenari bisogna leggere sempre lo spirito dell’origine: lo Spirito Santo. Il quale ci suggerirà come capirlo, senza nessuna nostalgia del passato. bene che non tornerà.

  1. Sfida

La sfida qui è come tradurla, non è affatto intellettuale perché si può tradurla in un’altra lingua o altra cultura.

  • So quanto la propria lingua è una passione. Io posso tradurre solo ciò di cui sono appassionato, solo ciò che amo profondamente. Troverò le parole solamente per ciò che io sento profondamente. Allora troverò le parole per tradurla nella lingua/dialetto locale. Se non sei innamorato della spiritualità del Vangelo non lo potrai mai tradurlo per gli altri.
  • Si potrà tradurre solo se tu hai conoscenza le

altre lingue, perché ognuna ha i suoi valori. Perché ogni lingua, ogni cultura, delle tribù più dispersa nel cuore nell’Africa, o dell’India o dell’America Latina, ha i suoi valori. Non tradurle nella propria lingua. Nella spiritualità, del Vangelo d’oggi si deve conoscere bene l’altra lingua e i suoi valori.

  • Deve avere nel cuore, la felicità, il bene dell’altro. Sono interessato al suo bene. Per questo ti racconto una bella storia, la storia di Gesù Cristo.
  1. Principio e Motivo

Perché? Qual è il principio o il motivo dell’acculturazione? Ci sono tre punti, come formazione molto gesuitica:

  • Se nessuna cultura può comunicare tutta la ricchezza del Vangelo ci siamo d’accordo, incarnare il Vangelo. Nessuna cultura è in grado di dire tutto la ricchezza del Vangelo, ma,
  • Ogni cultura anche può svelarne aspetti particolari e nuovi. Ogni cultura, anche quella delle tribù disperse in fondo al mondo. Ogni cultura può svelare aspetti nuovi del Vangelo.
  • Solo tutte assieme, queste culture e lingue del mondo, riescono a fare risplendere il Vangelo in tutta la sua bellezza, sapienza. Nessuno cultura può dire tutte le ricchezze del mondo. Ogni cultura del mondo possa sinodalmente svelare e fare risplendere il Vangelo in tutta la sua bellezza, e sua sapienza. Frutti e conseguenze: qual è il frutto di questo lavoro d’acculturazione?

Frutti e Conseguenza

Il futuro della Vita Consacrata, e d’ogni Istituto, è legato alla sua capacità d’acculturazione. Come sforzo d’adattamento intelligente e creativo della nostra spiritualità ad abbracciare la cultura circostante. Un carisma che viene tradotto, acculturato, resta vivo nell’acculturazione e a ciò che dà vita a un carisma. Vogliamo che i nostri carismi restino vivi? Bene, non è vero, che è l’unica strada di vocazione? Ci possono essere vocazioni e carisma che stanno morendo. La vita d’un istituto e suo carisma si adatta alla vita se è ancora viva oggi. Come fare per essere vivo? Evidentemente leggendolo nella cultura del tempo. Arricchisci nel futuro nuova e vera cultura dell’acculturazione. Se nostri carismi muoiono. Senza fare nulla di fraterna nel cuore di gioia. Dice Papa Francisco, ‘Diventiamo custode del museo’, e ha ragione. L’accultura-zione ci fa vivere nell’evangelizzazione e spirito di servizio. Senza imporre nulla. Creare fraternità, collaboratori nella gioia, perché offriamo qualche cosa di fresco, come pane di giornata. Senza accontentarci di ripetere le facciamo, delle grandi maggioranze della vita. In quanti istituti c’è sempre le stesse situazioni dei Fondatori, delle Fondatrici. E pigri e passivi noi, senza fantasia creativa, forse con poca fede, o povera spiritualità, e scarsa passione missionaria. Ma se accettiamo di comunicare la nostra fede e spiritualità secondo la mentalità, e sensibilità di chi ci ascolta, ci arricchiremmo entrambe. Quando fai la fatica di spiegare la tua fede in termini accessibile a chi ti ascolta, è la tua fede che cresce, tu ti arricchisci perché hai scoperto un modo nuovo di dire; aspetti nuovi del Vangelo dei nostri carismi è saremo beati. Non è solo una questione di lingua, di parole, chiaramente. Per sapere trasmettere il Vangelo come proposta per tutti il senso della felicità. Cosa cerche l’uomo, anche l’uomo nella secolarizzazione? Ogni essere umano ha bisogno di dare un senso alla vita, ha bisogno di verità, anche se non lo sa.

  • Ha bisogna di felicità per trasmettere questo Annuncio. Bisogna dare felicità, vivezza e piacere non solo nell’escatologia, ma già ora in questa vita.
  1. Pedagogia degli ultimi.

Dare all’acculturazione, e alla sua pedagogia, un’autentica spiritualità.

  • Deve essere accessibile a tutti. Un’autentica spiritualità deve poter essere predicata com’è, non solo come un termine delle categorie delle persone, capite quelle degli altri – una autentica spiritualità – se è autentica lo è per tutti? Dev’essere detta in parole semplici, così diventa pedagogia, stile di vita, altrimenti non è vera spiritualità. Quando diciamo queste cose di spiritualità, del carisma, le possiamo comprendere soltanto noi. Noi lavoriamo per gli altri, le scuole sono il centro essenziale, facciamo del bene ai poveri. E la spiritualità la vediamo solo noi e per conseguenza, non è vero, non è corretta; il primo bene dobbiamo darlo agli altri, dare loro la nostra spiritualità nel modo semplice sicché possano capire. Mantenere questo tipo di mistero velato, in accessibile non va bene. Un’autentica spiritualità deve essere detta con semplicità in modo che tutti ne possano capire e ne godere. Per questo, l’evangelizzatore se da vero vuole comunicare a tutti, deve adattare il suo discorso a chi più stenta a capirlo.
  • L’acculturazione non è un segno particolare per l’intellettuale, ma di una persona che si piega al livello dell’ultimo. Io parlo ha un gruppo di cinquanta persone, al livello più baso di comprensione. Alla persona più bassa dell’Ovest, del più basso capacità di comprendere. Io devo parlare al livello più intellettualmente povera, allora parlo a tutti. Ecco il prezioso principio, la scelta della acculturazione che privilegia la pedagogia degli ultimi, che è la pedagogia tipicamente evangelica. Il parlare di Gesù era accessibile a tutti. Anche i poveri capivano, dicevano ah… lui parla come uno che ha autorità non come gli scribi. Questo volevo dire. Uno che tocca il cuore, al quale di noi conosciamo. Allora l’altro principio per fare quest’opera è mettersi a faticare tutti insieme.
  1. Fatica di Tutti.

Il processo dell’acculturazione non può essere gestito da uno solo, ma è un lavoro da fare assieme in comunità, ecco la sinodalità. È meglio essere sinodale perché non è facile. Anzi mettersi insieme diventa un altro modo di vivere nella comunità, senza questa condivisione c’è il rischio che la maggior parte dei nostri contenuti carismatici non siano mai stati “tradotti” in lingua moderna secolare, né nei diversi luoghi ove siamo.

Dunque mai lasciano sprigionare tutta la loro ricchezza. Mi spiego, questo è una cosa terribile. Praticamente molti contenuti spirituali legati ai carismi dei nostri Istituti d’origine, non gli abbiamo mai tradotti in lingua secolare. Sono nell’archivi oh… custodisci gelosamente, nella nostra archivi della Casa Generalizia nell’Istituto storico, conosci tutta la legge della Fondatrice e Fondatore che lingue non ha mai detto? E lì non è mai stato tradotto? Noi siamo responsabile. Il Signore chiedeva, “Che cosa hai fatto con tutto il bene che hai, il bene spirituale?” Quello che noi non traduciamo per gli altri vuol dire che non l’abbiamo capito n’anche noi. E abbiamo piantato il modello che oggi conta per coloro, cioè l’acculturazione. Quale modello di Teologico per eccellenza dell’acculturazione? È il Verbo. È l’incarnazione, che cosa è l’incarnazione? L’incarnazione è un processo di acculturazione. Un modo molto semplicemente per dire il mistero teologico e questo: la Divinità, tradotta in umanità. L’incarnazione uguale traduzione.

Il Logos, tradotto in parole, è il mistero della vita nel volto, nel sorriso, nelle mani che toccano Gesù che carezza. Tuttavia Gesù che tocca i lebbrosi, è l’acculturazione dell’essere divino misterioso, che diventa gesto, parola, sguardo, atteggiamento, il modo di parlare, il modo di raccontare la vita. In tutta la sua vita Gesù è così. Modello straordinario d’acculturazione, è il modello che dobbiamo imitare. È una kenosis. Ma chi sente la sensibilità divina è da tradursi in sensibilità umana. Non dimentichiamoci, noi che crediamo in Dio, che tutto ciò che è sensibile è Dio, chi è molto vicino all’umanità.  Dio che ascolta il genito dei prigionieri, ne conta le lacrime, voglio dire gli presta facilmente attenzione umana. Non è umiliazione ma rivelazione. Così come ogni nostra carisma rivela un aspetto della sensibilità divino. Ogni carisma sottolinea un aspetto della sensibilità di Dio.

  1. Sensibilità Culturale.

Cos’è questa sensibilità culturale? Vuol dire formare i giovani. Quanto parlo di formazione iniziale intendo anche quella permanente. Avere ‘rispetto dell’altro’, non soltanto rispetto, ma come educazione all’alterità, non avere paura dell’altro perché è diverso da te, non avere paura di chi non crede, non prendere paura dell’acculturazione, non avere paura di persone che contestano chi è d’un’altra parte, non prendere paura del mondo. Questo mondo lo dobbiamo proprio accogliere nel profondo del cuore, perché in questo mondo siamo stati inviati. In più quella sensibilità culturale ci fa accogliere anche gli aspetti positivi della cultura altrui. Essere cosciente che la vita consacrata non ha la perfezione propria. Ne siamo noi i destinatari dei nostri carismi. I destinatari dei nostri carismi, sono il mondo e la Chiesa. Noi siamo solo destinatari provvisori, gli incaricati di portare l’Annuncio. Tutto nostro interesse sta in questo dialogo culturale. È tutto il nostro interesse ne è nato dalla carità, non è una degnazione.  Mi spiego, dalla mia posizione superiore, per venirvi incontro non è vero, perché è l’unico modo per capire meglio il dono che ci è stato dato. Noi possiamo capire solamente ciò che annunciamo agli altri: solamente ciò che abbiamo avuto modo di annunciare agli altri.

Il resto è un’illusione, per questo già in comunità, si può e si deve imparare, ognuno, la lingua dell’altra persona. Lingua nel senso metaforico solo dal lato storico, siccome nel Noviziato c’è chi viene dall’Africa, allora ogni tanto parlano Inglese. No, non è solo questione di parole, ma d’accoglienza del modo diverso di vivere la fede, la spiritualità, il Vangelo, interpretare il Cristo. Anche questo è sinodalità, quella attuale. La propongo perché per me è sempre particolarmente espressiva: un esempio attuale dell’acculturazione. Si potrebbe vedere tantissime cose in questo grande personaggio il modello teologico, cioè l’incarnazione del Verbo.  Di modello umano c’è ne sono tanti credo, che tutti voi ne conoscete di persona con loro che vivono questo che suscitano il modello abbastanza luminoso. Ci sono due passioni: La passione dell’Annuccio di Gesù, E l’atra passione: La Passione per il bene delle persone che vivono in quel luogo, quel territorio del deserto del Sahara. Là si entra con tutto sé stesso, nel mondo attuale è sì fonde con livello del Beduino, si mette l’altro al centro. Così s’inizia con la pedagogia degli ultimi.

Piccolo fratello — piccolo da vero — dà la priorità appena arrivi ad imparare la lingua e la cultura locale per aiutare, al livello della grammatica coloro che automaticamente verranno dopo di sé. Ha pensato con libertà del cuore – prepara i testi che aiuteranno i futuri missionari che verranno. Cerco una ventina d’Istituti che rifanno lo spirito di e che la persona libera del cuore.

Terzo, parla solo con il suo essere, mantieni uno stile di vita estremamente povera, un sorriso fa tanto per difendere la vita; divisi erano sempre oggetto di attacchi, fu una moria. Non mira a raccogliere vocazioni n’anche convertire, però annuncia a tutti, con il suo stile di vita, la Buona Novella, bella e buona, e luminosa. Secondo passaggio – l’inculturazione e l’acculturazione, qual è la differenza? dove sta la differenza? Cosa vuol dire l’acculturazione?

L’acculturazione è molto semplice. Ciò comporta parlare la lingua di chi mi ascolta, tradurre il dialetto locale in termini semplice. L’inculturazione che cosa è?

Inculturazione

  1. Definizione:

L’inculturazione è la risposta data da chi ascolta il mio messaggio di fede d’evangelizzatore. Che cosa evangelizzo per il dono dello Spirito, evidentemente è lui, è lo Spirito è lo do a tutti. Perché nell’Atto degli Apostoli lo spirito è dato a tutti, e non fa differenza tra “Giudei e Greci”, ora colui annuncia il Vangelo, grazie al dono dello Spirito, a tutti. Chi la riceve può ridire il Vangelo a secondo la sua cultura, e sensibilità, seconda la sua esperienza di vita a Dio e la vita. A questo punto una nuova traduzione sarà ancora più nuova. Perché fatto da lui. Io cercato da sempre appartenere ad un’altra cultura, è nato in quella cultura e potrà ridire il Vangelo che ha già ascoltato — lo potrà ridire nuovamente a sua volta, ancora di più, quella novità per la sua cultura. Due termini diversi. Acculturazione vuol dire, io vado verso la cultura dell’altro. Inculturazione vuol dire, “io, indigeno che appartengo a quella tribù, ho ricevuto l’Annuncio del Vangelo da un missionario. Adesso, io indigeno, ridico il messaggio che ho ricevuto secondo la mia lingua. Ognuno di noi parla un’altra lingua diversa che ha studiata. Io cerco di parlare Italiano; non so parla né inglese né lo spagnolo. Ci sono due fasi: quando l’acculturazione funziona bene? L’acculturazione funziona bene quando provoca inculturazione, se no, non provoca inculturazione vuol dire che tu evangelizzatore, non hai fatto tanta fatica. Dunque non hai suscitato nulla. L’acculturazione suscita l’inculturazione, provocata dalla parola. Il vero missionario è colui che non solo ridice con parole suoi il Vangelo, ma è colui che dà la Parola. C’è la prova adesso in due parole: da Indigeno, secondo la mia lingua madre, la mia esperienza di vita, traduco il Vangelo che ho ricevuto.

  1. Frutto:

Il fruito perfetto di qualcosa di assolutamente nuova, inedito. Come solo chi è nato della cultura con la sua lingua madre realizzarlo. Ecco dove i carismi restano vivi, perché sono sorti dall’acculturazione provocata, così l’inculturazione è viva. Un carisma non guarda solo indietro e allo spirito dato dalla Fondatrice o dal Fondatore. Guarda continuamente indietro e avanti, sono livelli dell’artrosi sempre viene del dietro per guardare risuscitare. Questa è la vita d’Istituto, non dire mai “non abbiamo più vocazione”, questo tipo di lamento ai secolari: i numeri gli constatiamo dal di dentro.

  1. Inversione dei ruoli:

L’inversione dei ruoli nell’evangelizzazione ha un doppio senso. Perché a questo punto l’evangelizzato evangelizza, mentre l’evangeli-zzatore si ritrova a essere evangelizzato. Dovrei dire, beato l’evangelizzatore che ci lascia evangelizzare. Dobbiamo dare ai nostri giovani questo stesso spirito non solo ai giovani, ma anche a mezz’età.

  1. Reciprocità e condivisione

Questa condivisione sinodale indica la piena libertà del consacrato che non s’attacca al ruolo che gli è stato affidato. Cioè non presume di essere lui il maestro, suo ruolo è solo di insegnare. Il missionario insegna soltanto. Un tempo, a chi imparava si diceva, esser ‘docibilis’. Ho scoperto questo termine usato nell’antica Roma detta docibilitas. C’è molto di più di docibilitas. Docibilitas vuol dire alla persona che impara, d’imparare da tutti sempre, e in ogni età della vita. Bellissimo essere docile.

Mi lascio formare dalla vita. Questo principio è fondamentale nella formazione permanente. Mi lascio formare dalla vita, da coloro che hanno portato l’Annuncio del Vangelo. Mi lascio evangelizzare dai poveri, e dai lontani.

  1. Circolarità del carisma e suo svelamento progressivo

Primo punto, il carisma si rinnova propria grazie a questa condivisione e lettura incrociata, si lascia provocare della storia perché torna così alla sua naturale destinatario, l’uomo qualsiasi. E questa, vedete, è la circolarità dell’Annuncio. Il Vangelo ritorna, ci rende sempre più fedeli, è ricevuto, a questo punto possiamo evangelizzare il Vangelo. Ancora meglio sarebbe una parola che ci evangelizza.

Secondo punto, un carisma muore se resta sempre nelle stesse cose, il carisma ha bisogno di spazzi nuovi e dell’aria fresca. Ha bisogno di geografia ampia, se resta sempre nello stesso posto non c’è soffio, non c’è niente da dire.

Questa è l’autentica formazione permanente che viene trasmessa dall’Apostolato. L’Annuncio avviene attraverso le relazioni e grazie all’altro, (anche dal pagano). Anche il pagano puoi evangelizzare la nostra perseveranza nella fede. Sapete la differenza fra l’essere perseverante è l’essere fedele? E concludo, l’essere perseverante è uno che resta nell’espressione che non viene meno, dà voce e alla parola ha dato a dovere, e diciamo che non dispiace questa esperienza. Una persona perseverante è qualcuno che dice, “Signore, donaci la santa perseveranza”, ma la perseveranza non è più della fedeltà. La fedeltà indica sempre una persona che resta nel suo progetto vocazionale, ma non semplicemente ripetendo ciò sia un perseverante. Il perseverante è chi ripete, “Signore, dammi l’entusiasmo della prima volta, quando ho fatto i voti la prima volta, dammi la passione che avevo”. Il fedele non è così. Diventa una persona nuova, colui che è fedele, colui che rimotiva la sua consacrazione. Ogni giorno trova motivi nuovi, e perché fa questo?  Il Signore eternamente chiama. Ogni giorno mi chiama e non si ripete. Ogni giorno il Signore ci chiama, ci propone qualcosa di nuovo. Ecco dove nasce la fedeltà. La Fedeltà è la risposta data ogni giorno per un dono sempre nuovo. Non basta la perseveranza, occorre essere fedele, alla fedeltà si aggiunge un aggettivo. Creativa, detto la fedeltà creativa — di per sé — creativa. La perseveranza è ripetitiva, la fedeltà è creativa.

  1. Comunità-laboratorio

(o stile comunicativo- relazionale)

La comunità potrebbe, dovrebbe essere un laboratorio, ha questo stile d’acculturazione, d’inculturazione e di condivisione dare la parola ascoltare delle altre frasi formare l’altro, dovrà diventare anche stile della vita comune, della vita fraterna. Ciò implica, come abbiamo detto, una formazione iniziale e permanente del singolo, del gruppo, che evochi questo stile di evangelizzazione attraverso un corrispondente stile comunicativo relazionale da vivere in comunità. La comunità laboratorio che si prepara a questo tipo di evangelizzazione. Nessuno, infatti, può improvvisare fuori dall’Apostolato quello che non ha imparato a fare lì dentro.

Tale stile comunicativo-relazionale rende la comunità un “luogo di formazione” e allo stesso tempo un “laboratorio”. Nella fede ci sono gli strumenti d’integrazione del bene e del male.

  1. A) Strumenti d’integrazione del bene

Il calazio, la condivisione della parola di Dio, il discernimento comunitario, strumento formidabile per imparare a camminare assieme, a scegliere assieme, a scrutare assieme quello che a Dio è gradito.  La libertà di dire il tuo parere è meglio del mio.

L’obbedienza fraterna, è un’idea di San Benedetto. I monaci, egli diceva, devono obediant, obbedire, ob-audire — si ascoltino l’un l’altro. I monaci obbedirono, e non soltanto l’obbedienza, la quale non è una virtù. semplicemente che riguarda l’autorità dei superiori subiti. L’obbedienza riguarda tutta la vita. Ogni momento non solo l’epoca di trasferimenti.

Strumenti d’integrazione del male

Strumenti d’integrazione dal male anche s’impara a crescere, la correzione fraterna. Il perdono — non impariamo la revisione di vita e tutti strumenti che possono essere molto buoni se messi in atto; che educano alla relazione, e consento di passare dalla comunicazione alla comunione e rendono capace di adottare un corrispondente stile di dialogo e condivisione evangelizzante e già in comunità, per realizzarlo poi dell’Annuncio.

Grazie per l’ascoltato.

(Ref: The audio text from Fr. Amedeo Cencini, from the SEDOS Residential Seminar 2023.)

 (Gift from Orbis books to SEDOS Library)

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