Ida Colombo, Hélène Isräel Soloumta Kamkol, Maria Teresa Ratti, SMC
Ci presentiamo
Siamo tre Suore Missionarie Comboniane che hanno avuto la gioia di essere state parte di una esperienza ministeriale condivisa all’interno della Famiglia Comboniana (FC). Costituita ufficialmente il 26 giugno 2019 come Commissione Famiglia Comboniana Ministerialità Sociale (CFCMS) dai nostri rispettivi Consigli/Coordinamenti Generali, aveva come obiettivi centrali quelli di:
- Fare una mappatura di tutte le attività ministeriali sociali della Famiglia Comboniana.
- Elaborare dei criteri, modalità e principi comuni nelle esperienze esistenti di collaborazione inquadrandole in una prospettiva istituzionale.
- Valutare in che modo le varie ministerialità hanno un impatto di trasformazione sociale sulla realtà e come la nostra presenza ministeriale risponda a una vera esigenza dei segni dei tempi.
Nel corso di questi due anni abbiamo sperimentato la bellezza di sentirci in cammino insieme, nel tentativo di trovare risposte condivise a situazioni complesse e in rapido cambiamento. Essere parte di una unica Famiglia ha facilitato la realizzazione del percorso nelle sue singole tappe, e un vocabolario carismatico condiviso ha sicuramente catalizzato con rinnovata energia i contenuti che si andavano realizzando passo dopo passo.
Oltre alla realizzazione della mappatura, i compiti affidatici dai nostri diretti responsabili vertevano alla pubblicazione di un secondo volume, che facesse seguito al primo, e nel contempo organizzare la partecipazione al Foro Sociale Mondiale 2020 e il Foro della Famiglia Comboniana sulla Ministerialità Sociale (FFCMS). La pandemia causata dal Coronavirus-19 ha condizionato non poco la nostra tabella di marcia, particolarmente per quanto concerne l’organizzazione del FFCMS. Infatti ci ha obbligati a pensare modalità di partecipazione non contemplate prima.
Un percorso di molti passi e tanti eventi
Il movente storico più recente che ha generato nella Famiglia Comboniana l’esigenza di porre bene in evidenza nella sua metodologia missionaria la ministerialità sociale è stata la costante partecipazione di diverse comboniane e comboniane ai vari Fori Sociali Mondiali (FSM). Iniziati nel 2001 a Porto Alegre (Brasile), i FSM offrono alle reti, ai movimenti, alle organizzazioni e ai gruppi interessati una piattaforma allo scopo di conoscersi, riflettere, ascoltare, denunciare, tessere e sognare percorsi dove un altro mondo sia davvero possibile.
A partire dal 2007, con il FSM di Nairobi (Kenya) la Famiglia Comboniana inizia ad accompagnare questi eventi come Foro Sociale Comboniano (FSC), e con il passare del tempo si è andata sempre più concretizzando l’urgenza di abbracciare la collaborazione ministeriale come condizione sine qua non per dare una testimonianza evangelica che avesse il sapore del pane lievitato dentro il cammino sinodale comboniano.
Questo nostro percorso è oggi arrivato alla soglia dei vent’anni, ma la nostra storia insieme viene da molto più lontano. Per esempio, 7 anni prima di Porto Alegre 2001 la FC era stata molto coinvolta nella fondazione, in Nairobi, Kenya, dell’Institute of Social Ministry in Mission presso il Tangaza University College.
La radice ispiratrice a questo impegno divenuto negli anni un grande albero trapiantato nei più variegati terreni umani dove la FC è presente, sta racchiusa nel divenire di un misterioso disegno che la Provvidenza ha consegnato nelle mani di un uomo la cui esistenza si è realizzata nel bel mezzo di un dialogo tra i due grandi amori della sua vita: l’amore di Dio e l’amore dell’Africa.
Un Carisma tra continenti, culture e comunità
A chi ci stiamo riferendo? Al Carisma affidato al nostro Fondatore, San Daniele Comboni (15 marzo 1831, Limone sul Garda, Italia – 10 ottobre 1881, Khartoum, Sudan). Nel suo Piano per la Rigenerazione dell’Africa con l’Africa (1864) questo grande apostolo del Vangelo in Africa Centrale aveva colto che le realtà si rigenerano là dove le persone diventano protagoniste dei processi di trasformazione della loro storia. La vitalità dinamica della Chiesa in Africa oggi testimonia la profezia insita nel vissuto carismatico comboniano. Ed è proprio partendo da questo presupposto carismatico che condivideremo la nostra comprensione del ‘Chi della Missione’ come ci è stato chiesto di svolgere in questo articolo.
È nostra convinzione – sicuramente condivisa da molte altre persone – che al cuore dell’esperienza missionaria vi è sempre un soggetto declinato al plurale. Siamo infatti chiamate e chiamati ad essere testimoni della Missio Dei, che ha la Trinità Santissima come sua sorgente e fine ultimo. Siamo convinte che, raccontare il ‘Chi della Missione’ secondo le modalità esperite durante questo nostro esercizio collettivo, sia un rendere testimonianza alla chiamata che ci vede collaboratrici e collaboratori di Dio nella realizzazione della Sua Missione in ogni tempo e in ogni luogo.
L’intreccio del sogno di Comboni dentro i continenti, le culture e le comunità è da leggersi in filigrana come il divenire di un ‘Chi della Missione’ reso tangibile dai molti processi iniziati allo scopo di accompagnare una vera trasformazione sociale. La ministerialità declinata nella sua dimensione sociale è stata la motivazione e la prospettiva con la quale abbiamo realizzato le varie iniziative a noi affidate. Quanto condivideremo in questo articolo sarà dunque l’eco, in forma simbolica-interpretativa, di quanto emerge dalle pagine del libro Noi Siamo Missione. Saremo portavoce di alcune esperienze venute dall’Africa, dalle Americhe e dall’Asia-Europa, dove la FC vive e opera. Nel contempo, racconteremo anche altre presenze ministeriali. Tutte e ciascuna parlano della bellezza che sgorga da una testimonianza evangelica condivisa.
- Il Chi della Missione dall’Africa (Sr. Hélène Israël Soloumta Kamkôl)
Nel mare magnum della Missione, l’Africa ha una sua parola da condividere per comprendere meglio il grande ambito inerente al ‘Chi’ che sta al cuore della testimonianza missionaria. Sono convinta che sia essenziale sapere cosa, nell’insieme, comprendiamo quando parliamo di ‘missione’. Alcune esperienze bibliche, in particolare, ci aiutano ad esprimere meglio ciò che noi in Africa intendiamo quando ci avviciniamo al grande roveto sempre ardente della missione. Sono anche consapevole di esprimere solo alcune comprensioni all’interno di una immensamente più ampia visione ed esperienza del meraviglioso tema che il termine ‘missione’ contiene.
Cosa ci dice la Scrittura
“Ho osservato la miseria del mio popolo e ho udito il suo grido; conosco le sue sofferenze…Ora va’! Ti mando dal Faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo!”
Dio è testimone diretto dell’esperienza profonda della sofferenza del popolo in Egitto. Ha scelto di non rimanere tranquillo e al sicuro in una qualche residenza celestiale. Dio si muove per liberare il popolo. Il “Fa’ uscire” ordinato a Mosè ci fa vedere che Dio si è reso disponibile a combattere per la giustizia. Dio non è intenzionato a rendere la situazione più sopportabile, del tipo: mi dispiace, portate pazienza, pregate tanto, passerà questo tempo, chiedete aggiustamenti al Faraone... No! Qui si tratta di una definitiva uscita dall’oppressione. Una decisione socio-politica molto forte, che Mosè deve affrontare. Non si tratta di un ufficio ecclesiastico quello che Mosè viene chiamato a compiere!
Dio prende l’iniziativa: “…va’!”. Sprona Mosè all’azione invitandolo a presentarsi davanti al Faraone. Tramite Mosè, Dio si mette in missione per liberare un popolo maltrattato come il Servo sofferente. Dio ha osservato la sofferenza ed è sceso, chinandosi sull’umanità ferita. Questo abbassamento verso il popolo si compie pienamente con Gesù. “Lo Spirito del Signore è sopra di me, mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore”. La missione di Gesù fa parte di un’unica danza iniziata nel cuore di Dio!
Dentro la vita di ogni giorno
L’Africa sgorgata dai poveri, prigionieri, ciechi e oppressi a tutti i livelli, guarda al messaggio di Gesù con speranza. Perché, la liberazione integrale dell’essere umano passa anche attraverso la salute fisica, mentale, spirituale, morale ed anche culturale. Lo hanno capito molto bene diversi teologi e diverse teologhe d’Africa quando cercano di esprimere l’impatto dell’azione liberatoria di Gesù sulla condizione del popolo.
Nella sua sintesi a riguardo della ricerca teologica africana, vista da una prospettiva di liberazione e di impegno, Padre Jean-Marc Ela, teologo e sociologo camerunese (1936 – 2008) sentiva l’urgenza di dare un nuovo significato alla Rivelazione di Dio in Africa. Infatti, le persone che vivono in condizioni difficili si interrogano ancora sul significato del divino di fronte alle loro situazioni. Le sue riflessioni basate sulla sua esperienza tra i contadini che affrontano carestie, siccità e malattie, mostrano come il Vangelo può ancora nutrire la speranza dei più svantaggiati. Certo, l’ingiustizia, la strumentalizzazione e l’oppressione affermano che le persone, in tutte le sfere della vita, tendono a perdere la loro dignità umana.
La teologa Mercy Amba Oduyoye, partendo dalla cultura africana che può anche essere una fonte di oppressione per le donne, conferma che questo concetto della dignità umana è minacciato a causa di molte violazioni: “Al centro della cultura c’è un’ideologia che ha la priorità assoluta: la personalità corporativa della famiglia, del clan o della nazione è sempre preferita alla personalità dell’individuo, specialmente quando questo individuo è una donna”.
La cosa più scoraggiante per lei era rilevare che, in molti dei libri consultati, le donne africane erano elencate principalmente come moglie, madre, strega, eccetera. Tale costatazione l’ha portata a chiedersi se davvero le donne siano da considerare come parte della famiglia umana. Eppure, come ben recita un proverbio Akan: Tutti gli esseri umani sono figli e figlie di Dio!
Aldilà di questi aspetti disumanizzanti ed oppressivi, Oduyoye rileva che: “Le donne africane che leggono la Bibbia con occhio critico, scoprono in essa il Dio trinitario come liberatore degli oppressi, salvatore degli emarginati e di tutti coloro che vivono quotidianamente in preda al dolore, all’incertezza e alla privazione.”
Questa nostra sorella maggiore inoltre afferma che una piena umanità e partecipazione attiva nella religione e nella società sono fondamentali, perché il Vangelo di Gesù è il vangelo della pienezza di vita. È una Buona Notizia che incarna una verità generativa di trasformazione. Quindi, è sempre importante modellare e rimodellare gli approcci educativi che promuovono la liberazione totale di tutti gli esseri umani.
Un chi non singolare
Dio, sorgente della missione, ha bisogno dei collaboratori e di collaboratrici come strumenti consapevoli e convinti per poter realizzare il suo sogno: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”. In Africa, la Famiglia Comboniana – come tante altre realtà ecclesiali – è impegnata nel trasformare il sistema disumanizzante che continua ad opprimere ed imprigionare il popolo che sa che per fare crescere un bambino, ci vuole un intero villaggio.
Quando una nuova creatura viene al mondo in questo immenso Continente, questa sa che “io sono, perché noi siamo”, esprimendo in tal modo il forte senso della solidarietà che unisce famiglia e comunità. Come ben afferma il Cardinale Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui e pastore di una Chiesa e di un popolo molto provato dalla sofferenza in Centrafrica: “Per me, laddove si trovino uomini, donne e bambini, questi sono figli di Dio, e io ho l’obbligo di andare loro incontro.”
La trasformazione come orizzonte del popolo oppresso
Diversi Carismi di Fondatori e Fondatrici puntano chiaramente sull’importanza dell’azione educativa come parte fondamentale per promuovere la rigenerazione di una società alla luce del Vangelo. Questo è un ambito davvero carismatico per una preparazione qualificata del popolo africano nel segno del carisma comboniano. Il percorso compiuto nel segno della ministerialità sociale, come già accennato agli inizi di questo articolo, riflette quanto ora affermiamo.
Quasi automaticamente si pensa alla creazione di scuole tecniche e professionali, di centri universitari per la formazione del popolo, così da renderlo atto per sua liberazione. Gli obiettivi sono di sviluppare la personalità intellettuale, umana, morale, religiosa, ed inculcare la conoscenza locale e universale, con lo scopo di promuovere i valori necessari per assicurare una relazione interpersonale sana, e una coabitazione pacifica nella società.
Un cammino di insieme
Molti ‘tipi’ di chi in missione in Africa creano confusione nella gente. Come è successo anche a me, quando avevo circa 16 anni. Chiedevo di capire meglio la differenza tra la missione dei peacekeepers e quella della gente di chiesa. Ambedue i gruppi erano arrivati dal Nord del mondo. Il chi della missione dei peacekeepers mi appariva come se il pesce pensa che il pescatore viene per salvarlo, e così muore. Perché il pescatore cerca il suo cibo, non certamente di salvare il pesce. Con le armi si mantiene la guerra, e non si costruisce la pace. Lo sappiamo bene che questa è una strategia per anestetizzare la gente e così mantenerla oppressa.
Il vero chi della missione evangelica è quello coinvolto nel processo di liberazione del popolo affinché abbia vita e vita in abbondanza. E quel chi è per noi frutto della collaborazione di tutte le forze che interagiscono a favore della giustizia là dove l’umanità soffre le doglie di una partoriente.
La sorgente della Missione – che è sempre la Trinità – e poi i missionari e le missionarie, il popolo, gli obiettivi, le iniziative … esprimono la grande intuizione già menzionata, quella dell’Ubuntu/tuko pamoja. È l’unità dell’insieme, il chi plurale, come membri di un solo corpo (1Cor. 12,12) che mira a denunciare con forza le situazioni ingiuste e a predicare con rinnovata gioia e speranza, sempre e ovunque, il giubileo di grazia del Signore!
- Americhe: il popolo protagonista di trasformazione (Sr. Ida Colombo)
Ascoltando con attenzione, sia con la testa che con il cuore, le descrizioni dei ministeri sociali vissuti dalla Famiglia Comboniana nelle Americhe, ho percepito in un modo molto forte che il protagonismo del popolo definisce il Chi della Missione in quel vasto Continente. Più di una volta, e in modi diversi, viene messo in rilievo che è a partire dalla metodologia adottata da San Daniele Comboni di ‘Salvare l’Africa con l’Africa’ – ovvero, lavorare con la gente, per la gente e da parte della gente – che si percepisce l’insieme della bella esperienza del Vangelo ad ogni latitudine e in tutte le culture.
A partire dalla mia personale esperienza, arricchita dagli anni in cui ho incontrato e sono stata accolta da alcuni popoli del Perù e dell’Ecuador, ho capito che, nella missione di Dio tra noi, il protagonista è sempre il popolo, i piccoli che vivono nelle molte periferie ferite della vita. Loro sono gli agenti del cambio, della trasformazione attraverso la collaborazione e il lavoro in rete.
Recentemente (luglio 2021) ho avuto l’opportunità di visitare alcune nostre comunità in Messico, Costa Rica e USA. Ho visto, soprattutto a Tapachula (Chiapas) e in San Antonio (Texas), sia nell’impegno delle comboniane – come anche di altre religiose appartenenti a diverse congregazioni femminili impegnate nella difficile realtà delle migrazioni – un grande desiderio di ascoltarsi reciprocamente, per facilitare l’immane compito di accogliere e accompagnare donne, bambini, uomini, giovani, minori non accompagnati… tutti forzati a lasciare le loro terre in cerca di un futuro migliore.
Sicuramente questa è una sfida immane, che richiede una immensa capacità di sinergia e di sinodalità apostolica. La presenza di queste donne consacrate, forti della loro autorità di sorelle dell’umanità là dove più soffre, è in sé stessa una denuncia ai vari governi e leader che, in diversi modi e luoghi, si lavano le mani rifiutandosi di assumere il carico della loro responsabilità circa il dolore, l’angoscia, e l’incerto futuro di così tanta gente.
La città di Tapachula, per esempio, si è trasformata in una “zona di attesa” per migliaia di migranti richiedenti asilo; un’attesa che può essere di sei mesi, di un anno o di un tempo ancora più lungo. Per questo motivo, la comunità comboniana che vive in Messico ha visto urgente iniziare una presenza aperta alla collaborazione con altre associazioni impegnate nella difesa dei diritti umani. In questo modo, ai migranti è data la possibilità di attendere in spazi dove la loro umanità/dignità viene rispettata, mentre vengono accompagnati nel processo di regolarizzazione a livello giuridico e nella ricerca di migliori condizioni di vita.
In questi anni, visitando diverse comunità comboniane in Paesi e Continenti dove siamo presenti, ho sentito da vicino la sofferenza della popolazione di Haiti, della gente dell’Uruguay, di San Salvador, come anche di molte popolazioni provenienti da diversi Paesi africani. Tutte immerse in situazioni di grande incertezza e tensione sociale, politica e culturale.
Impossibile non ricordare il monito di Papa Francesco:
“Il popolo non sia privato dall’essere protagonista della sua storia. Quando il popolo è scartato viene privato non solo del benessere materiale, ma anche della dignità dell’agire, dell’essere protagonista della sua storia, del suo destino, dell’esprimersi con i suoi valori e la sua cultura, della sua creatività, della sua fecondità.”
Amore al popolo e alla sua vita
Una delle principali attitudini di fondo nel lavoro missionario è l’amore al popolo e alla vita del popolo. Questo esige contatto vivo, solidarietà, compassione e soprattutto capacità di considerare il popolo come soggetto, aiutandolo a cercare la sua autonomia e libertà. Non dobbiamo metterci in cima o fuori della vita del popolo, ma al suo servizio, senza maschere, senza arroganza, senza paternalismo/maternalismo, né antagonismo.
Le discepole e i discepoli e di Gesù, inviati e presenti in ogni popolo come sale, lievito, chicco di senape … devono esprimere con scelte concrete la bellezza di testimoniare che la Buona Notizia è una esperienza da vivere a mani, a braccia, a cuore aperto verso tutte le realtà che incontrano lungo il cammino della discepolanza. A questa bella visione di Chiesa fa eco il comboniano P. Daniele Zarantonello, che esprime con parole e immagini quanto mai significative questa apertura agli impoveriti che vivono a Tumaco, in Colombia:
“In questi anni abbiamo chiamato la nostra presenza come la presenza di una “casa con la porta aperta”, per far entrare anche fisicamente – ma soprattutto spiritualmente – la vita, il dolore e la lotta della nostra gente dentro la nostra vita. Per diversi anni abbiamo vissuto in due case, “una comunità con due ali”, la chiamavamo, cercando di vivere il più possibile la prossimità con la gente per mezzo del lavoro, della pastorale e dell’organizzazione comunitaria.
In diversi Paesi latinoamericani, la formazione delle piccole comunità di base è spesso percepita come le fondamenta di una grande casa, dove la Parola di Dio, che sta al centro, viene restituita alla gente quale frutto di una riflessione di insieme, che sostiene e accompagna nel comprendere il significato della propria esistenza. A questo riguardo è essenziale assicurare una certa continuità come “processo continuo di sviluppo di capacità che permettano non solo alla gente di essere protagonista della propria storia, ma che siano loro stessi capaci di sviluppare tutti i programmi a livello comunitario.”
Come una levatrice, come un agricoltore…
Trovo molto coinvolgente quanto afferma il teologo brasiliano Clodovis Boff, quando sostiene che l’agente di lavoro popolare deve essere come una levatrice che aiuta la madre a partorire, come un agricoltore che ara la terra perché dia buoni frutti, come un medico che cura il corpo perché conservi o recuperi la salute. Così anche il missionario/la missionaria lotta con la gente, sa suscitare, risvegliare, stimolare, servire, rafforzare, accompagnare, offrire i propri mezzi, coordinare forze. Spinge l’azione in avanti, e sta in mezzo al popolo, animando.
La collaborazione e il lavoro in rete, come espressione di una singolarità di intenti, ci viene trasmessa anche dalla bella esperienza realizzata dalla Asociación Hermanas Latinas Misioneras in América (AHLMA). La visione che supporta lo sforzo di queste comunità religiose femminili è quella di essere un ponte umano, culturale e di fede tra le varie popolazioni che migrano dall’America Latina e Centrale in cerca di lavoro, sicurezza, e pienezza di vita negli Stati Uniti. Alla base della missione di AHLMA vi è il desiderio di accompagnare le religiose, che si trovano in un ambiente totalmente nuovo, nel loro processo di inserimento negli USA. Insieme, queste comunità femminili alimentano la cultura dell’incontro come parte essenziale della propria identità, riflessa in un quadro di testimonianza missionaria comunitaria.
A questo riguardo è impossibile non menzionare qui l’esperienza della Leadership Conference of Women Religious (LCWR) che negli USA raccoglie i sogni, le speranze, le fatiche, la creatività e la donazione evangelica di tantissime comunità di donne consacrate nei più svariati ambiti della vita. Nel loro mission statement viene spiegato che lo scopo principale dei loro sforzi è quello di accompagnare i membri, sia a livello personale che comunitario, nello svolgere in modo collaborativo il servizio della leadership quale percorso per realizzare la missione di Cristo nel mondo di oggi.
Inoltre, la Conferenza si prefigge di realizzare modelli operativi mirati a potenziare la capacità dei suoi membri nello sviluppare modalità relazionali con altri gruppi interessati al cambiamento sociale. In questo modo, il dialogo e la collaborazione, sia nell’ambito ecclesiale che in quello sociale, beneficiano del contributo sinergico della vitalità che anima la Conferenza. La collaborazione, a diversi livelli, tra AHLMA e LCWR è il risultato generato dalla bellezza di testimoniare assieme la Buona Notizia tra le genti delle Americhe.
- Europa-Asia: continenti in (ri)cerca di vita (Sr. Maria Teresa Ratti)
L’Europa è diventata un ‘continente vecchio’ non solo in relazione allo stato della natalità e longevità dei rispettivi Paesi che la compongono. Assediata da questioni socioculturali, politiche, economiche ed ecclesiali che richiedono una extra dose di umanità solidale, l’Europa di oggi deve (ri)scoprire un extra di profezia – come anche di fiducia nel nuovo che preme di essere accolto – se vuole assicurarsi un futuro di vita piena che renda onore alla parte migliore della sua storia.
Mentre scriviamo si sta compiendo la tragica uscita di scena delle ‘forze occidentali’ dall’Afghanistan, e, a più largo spettro, il mondo intero si sta confrontando con le enormi conseguenze della pandemia del Coronavirus. Che è una delle molteplici emergenze umanitarie-ecologiche del nostro tempo.
Come testimoniare insieme?
Di fronte a noi sta un mosaico missionario di immense proporzioni e di grandi opportunità, che ci interpella e coinvolge, sia personalmente che come comunità. Una tale complessità potrebbe indurci a sentirci incapaci, se non persino irrilevanti. Questa è una tentazione che dobbiamo guardare bene in faccia, anche per evitare di cadere nella trappola del vittimismo missionario, che di suo rivela più di una fragilità insite nelle nostra varie ermeneutiche e metodologie riguardanti la testimonianza missionaria.
Fernanda Cristinelli, suora missionaria comboniana, così si esprimeva in una sua presentazione sul tema della ministerialità nella Famiglia Comboniana:
“Il focus sull’attività di Dio diventa fonte di speranza davanti alla piccolezza del nostro lavoro e alla magnitudine delle problematiche che sembrano sovrastare la nostra capacità di apportare cambiamenti significativi. Lì riconosciamo il nostro limite e che l’opera d trasformazione è prima di tutto opera di Dio.”
Riconoscere l’azione trasformante e i tempi specifici di Dio dentro il divenire della realtà sono da considerarsi i due passi essenziali per assicurare vita al nostro cammino. Una domanda è poi d’obbligo: dentro così tanta complessità, come possiamo testimoniare l’annuncio di pace e di gioia, di sororità e di fraternità, di giustizia e di riconciliazione per ogni persona e per la creazione intera, esprimendo, nel contempo, la bellezza del ‘chi plurale’ che questa stessa missione ci richiede in questo Continente?
Una risposta significativa ci viene dalla comunità missionaria inter-congregazionale mista di Modica, in provincia di Ragusa, diocesi di Noto. Partita dal sogno, cullato da tempo, della Conferenza degli Istituti Missionari in Italia (CIMI), e resa operativa durante un forum organizzato a Trevi (PG) nel febbraio 2013 su “Educare e educarsi alla missione”, questa comunità inizia a crescere su due pilastri fondativi:
- Favorire un lavoro inter-congregazionale, misto con la partecipazione anche di laici, che permetta processi di apprendimento comune (imparare a riflettere, progettare e programmare insieme) in stile di comunione;
- Valorizzare il più possibile il rapporto con gli immigrati in Italia, soprattutto, ma non solo, tramite il contatto personale, portandosi nei diversi luoghi da loro abitati.
Apprendere insieme come team ministeriali, e valorizzare il contatto personale con chi vive la marginalità sistemica imposta da ideologie razziste, xenofobe, e fondamentaliste sono dunque modelli di sinodalità missionaria. Che dobbiamo valorizzare sempre di più come elementi costitutivi affinché la nostra testimonianza sia autentica ed efficace.
A Modica, gli attuali componenti della comunità stanno cercando di vivere in pienezza l’impegno assunto in questa prospettiva missionaria. La loro stessa composizione ‘meticcia’ – provenienti cioè da varie congregazioni e istituti missionari – è in sé stessa un banco di scuola su cui imparare l’a-b-c della missione qui e ora.
Sr. Albertina Rosa Correte Marcelino, comboniana mozambicana, che in questa estate 2021 ha avuto la possibilità di vivere nella comunità di Modica, ne è rimasta entusiasta. Tra le sue molte percezioni, racconta che l’ha toccata profondamente vedere l’impegno del gruppo per essere una presenza significativa in mezzo alla gente.
“Lavorano come ponte fra i diversi popoli migranti e il popolo dell’Italia, e fra migranti e migranti di diversa provenienza, cultura, e religione. Con le altre istituzioni preparano tante serate in cui espongono il tema della migrazione per sensibilizzare la gente ad accogliere i migranti come fratelli e sorelle, non come stranieri; e tanta gente si rende disponibile a dar loro ospitalità in caso di bisogno. Mi ricorderò con gioia l’accoglienza della popolazione, che è molto affettuosa e amichevole; le donne, i bambini e tutti quelli che ho conosciuto e coi quali ho scambiato uno sguardo, una parola, e mangiato insieme.”
Una bellissima testimonianza missionaria, che in sé racchiude una molteplicità di elementi senza dei quali non è possibile rendere visibile la gioia del Vangelo!
Vicinanza, cura, convivialità
A Camarate, in Portogallo, una equipe formata da diversi membri della FC, in collaborazione con diverse entità ecclesiali e sociali presenti sul territorio, porta avanti il progetto Jovem Despertar (Risveglio Giovane) che si prende cura di bambine e bambini di famiglie, spesse volte monoparentali, arrivate da lontano. In questo ministero si vede chiaramente che la vicinanza e la cura bene esprimono gli sforzi per rendere una testimonianza ministeriale nel segno della collaborazione e della comunione.
Ciò che balza agli occhi, esplorando queste varie ministerialità missionarie in Europa, è la consapevolezza che anima dal di dentro chi le inabita, di essere state/i chiamate/i a divenire nelle loro persone dei ponti umani attraverso i quali le persone si possono incontrare. Le missionarie e i missionari a Camarate sono consapevoli che la loro presenza è in sé occasione per far incontrare le diverse culture che si trovano a con-vivere in situazioni e contesti vulnerabili, e che richiedono una capacità missionaria davvero accogliente.
Divenire crocevia per costruire convivialità, favorendo nel contempo collaborazione, creatività e competenza bene esprime il ‘chi plurale della missione’ animato anche dalla comunità missionaria comboniana presente a Castel Volturno, in provincia di Caserta. Un lembo di terra dove la mancanza di rappresentatività giuridica mette a dura prova la resilienza delle persone che in quel territorio vivono una quotidianità molto difficile. Qui, tra le moltissime necessità, si vede essenziale “lavorare in rete, senza affanno di protagonismo, collaborando con tutti coloro che sono disponibili e desiderosi di impegnarsi”, sempre promuovendo la conoscenza della Dottrina Sociale della Chiesa e la formazione missionaria in tutto il popolo di Dio.
Un tempo favorevole per convertirci
Per la Chiesa missionaria in Europa – da sempre tentata di sentirsi fondativa e depositaria della fede da condividere con ‘le terre di missione’ – è finalmente giunto il tempo della conversione e del rinnovamento.
In particolare, per le Congregazioni e gli Istituti Missionari di antica fondazione, è questo un tempo favorevole per purificare tutte quelle forme di linguaggio e pratiche, con il relativo universo simbolico, che per troppo tempo hanno deturpato il volto bello del Vangelo, ad intra e ad extra.
A questo riguardo, il campo della comunicazione sociale è sicuramente un areopago attraverso il quale si può contribuire ad un cambiamento di mentalità. Dobbiamo e possiamo fare di più e meglio anche in questo ambito, iniziando ad usare forme narrative rispettose della dignità e del diritto di cui ogni persona è portatrice.
La ministerialità missionaria oggi impone di impegnarci di più anche nello sradicare dalle fortezze che furono, in qualche maniera, le varie congregazioni e istituti religiosi nel passato in Europa, tutte le barriere che hanno soffocato il dinamismo circolare della missione. Questo renderà la “cittadinanza carismatica” una esperienza concreta a qualsiasi latitudine.
Rimanere nel Suo Amore
Dall’Asia-Medio Oriente una parola finale, che ci incoraggia per continuare nella speranza che non delude. Siamo consapevoli che, anche nei Paesi che compongono il Medio Oriente e l’Asia, le missionarie e i missionari affrontano quotidianamente molte sfide per rendere visibile una testimonianza credibile e capace di entrare in dialogo con le molteplici ricchezze culturali di cui i loro popoli sono depositari.
Una caratteristica, per esempio, che bene definisce lo stile della presenza missionaria in Israele-Palestina, è quello di favorire costantemente il dialogo interreligioso e ecumenico tra le varie confessioni di fede presenti nella zona. Questa attitudine esige e richiede una intensa vita spirituale radicata su una preghiera di intercessione. Nella comunità di Betania, le missionarie comboniane sentono una particolare responsabilità:
“di preghiera e di intercessione per la riconciliazione tra i popoli; di testimonianza e impegno perché, come Cenacolo di Apostole, incarniamo e testimoniamo oggi la presenza del Cristo e i valori del suo Regno in questa Terra Santa e martoriata.”
In occasione della recente Festa del Sacro Cuore – 11 giugno 2021 – celebrata durante l’ennesimo rinnovarsi di ostilità tra le varie parti che compongono il tessuto umano, politico e religioso mediorientale, Sr. Alicia Vacas, responsabile delle comunità comboniane in Asia-Medio Oriente così affermava:
“Nel nostro accompagnare i popoli della Terra Santa in questa lunga via crucis, troviamo la ragione d’essere della nostra presenza nella contemplazione del crocifisso che ognuna di noi porta al collo. Consegnatoci nella nostra professione come segno della nostra consacrazione per la missione, ha iscritto l’invito di Gesù: MANETE IN DILECTIONE MEA.”
Rimanere nell’amore di Gesù, Signore Risorto per la vita del mondo, è il simbolo vivente che sorregge tutta la nostra dedizione all’annuncio evangelico, in ogni angolo della terra. Ogni discepolo e discepola del Regno porta con sé i segni della presenza della Croce e della Risurrezione nella propria vita. Assicurandoci che sarebbe stato con noi “fino alla fine dei tempi” Gesù Risorto è per noi oggi la roccia sulla quale dobbiamo continuare a costruire la tenda della missione che cerca casa in ogni angolo del mondo.
Conclusione: Noi Siamo Missione
Siamo giunte alla conclusione del nostro articolo. Attraverso queste righe abbiamo raccontato, in modo sintetico e sicuramente parziale, la bellissima avventura di sentirci ‘un chi plurale’ della missione oggi. Abbiamo condiviso speranze ed esperienze, sogni e sfide all’interno di un cammino che ha ispirato il pensiero di fondo per il tema che dovevamo sviluppare. Siamo davvero felici e grate di questa possibilità, proprio perché essere ‘chi’ è ‘essere missione’ in comunione, nel segno della collaborazione, e sempre con tanta creatività sinodale.
(This article was presented at the SEDOS Mission Symposium 2021, and the English version will be published in the book New Trends in Mission, The Emerging Future, by ORBIS BOOKS by June next year.)