- Il cammino con il Papa e il Consiglio di Cardinali
Tra dicembre 2023 e giugno 2024, sono stata invitata da Papa Francesco a proporre un itinerario formativo al C9 sul tema delle donne nella Chiesa. Il Papa desiderava che il tema fosse sviluppato dal punto di vista “funzionale; amministrativo e ministeriale”. Ho risposto a questa chiamata del Papa attraverso quattro incontri (4 dicembre; 5 febbraio; 15 aprile; 17 giugno), ognuno dei quali prevedeva una proposta di riflessione offerta da tre specialisti, seguita da un congruo tempo di dialogo e confronto sul tema con il Papa e i Cardinali. I testi prodotti per l’occasione sono stati raccolti in quattro volumi, editi da Paoline, con la prefazione del Papa. Durante il primo incontro abbiamo riflettuto in modo critico sui principi mariano-petrino del teologo Hans Urs von Balthasar. Vi hanno partecipato la teologa laica Lucia Vantini e il teologo presbitero Luca Castiglioni. Il volume rispettivo si intitola “Smaschilizzare la Chiesa?”. Il secondo incontro ha affrontato il tema dell’accesso delle donne ai ministeri, con la presenza della Vescova anglicana Jo Beiley Wells e della liturgista cattolica Giuliva di Berardino, consacrata dell’Ordo Virginum. Il volume rispettivo è “Donne e ministeri nella Chiesa sinodale”. Durante il terzo incontro si è cercato di indagare il rapporto complesso tra cultura, culture e gestione delle relazioni di genere all’interno della Chiesa. Vi hanno partecipato la teologa laica Stella Morra e Regina Da Costa Pedro, religiosa del PIME. Il volume corrispondente è “Donne e uomini: questione di culture”. Nell’ultimo incontro si è riflettuto sulla gestione del potere all’interno della Chiesa, con l’aiuto dell’economista Valentina Rotondi e della canonista Donata Horak. Il volume dedicato a questo tema è “Il potere e la vita”.
I criteri che mi hanno guidato nello sviluppo di questo progetto: rispettare e mettere in evidenza la complessità del tema (interdisciplinarietà e internazionalità); evitare la ripetizione pedissequa del magistero ecclesiale sulla donna, esercitando piuttosto la funzione critica della teologia.
La scelta di pubblicare i contributi in volume in tempi molto brevi, risponde ad un desiderio di trasparenza di fronte alla comunità ecclesiale e alla necessità di offrire a tutti i credenti strumenti per la formazione l’informazione in vista della continuazione del dialogo e del discernimento sinodale, che, come afferma il documento finale del sinodo, richiede una conoscenza articolata della complessità del tema preso in esame (85).
Al di là dei risultati, i quattro incontri con il C9 e i quattro volumi che di quegli incontri rendono testimonianza rappresentano un vero e proprio evento ecclesiale, realizzato nel tempo e nello spazio. L’incontro e il confronto del Papa e del C9 con 4 teologhe; un teologo; una Vescova Anglicana; una liturgista; una canonista e una economista appartengono alla storia della Chiesa e costituiscono, in un certo senso, un punto di non ritorno: la prova provata che è possibile ed è auspicabile, da un lato, per la gerarchia della Chiesa cattolica mettersi in ascolto delle voci delle donne e che è possibile ed è auspicabile, dall’altro, che le donne parlino di fronte al Papa e ai Cardinali con parresia, senza censure e senza tabù.
- Alcune considerazioni a margine di questo percorso, alla luce dell’evento sinodale
Penso sia evidente per tutti il grande travaglio che ha accompagnato il cammino sinodale, soprattutto nella tappa appena conclusa. Forse più all’esterno che all’interno dell’aula sinodale, la comunità ecclesiale ha patito il confronto e il contrasto tra paure e desideri, tra chi avrebbe voluto tenere il piede sempre sul freno e chi invece voleva schiacciare l’acceleratore. Anche la chiusura della fase assembleare e la pubblicazione del documento finale, ha visto una accoglienza contrastata: delusione di chi si aspettava grandi decisioni; timore di chi vede compromessa la struttura gerarchica della chiesa. Personalmente, appartengo alla cerchia dei moderatamente ottimisti e soddisfatti. E vorrei, ora, a partire dalla mia esperienza di quest’anno con il Papa e il C9 e alla luce degli ultimi sviluppi del cammino sinodale, spiegarvi il perché.
- Prospettiva storica e azione inarrestabile dello Spirito
Per prima cosa, desidero chiarire il punto di vista dal quale mi pongo nella mia analisi, che è un punto di vista storico, cioè che tiene conto dello sviluppo storico del tema. Questa prospettiva comporta, a mio avviso, una duplice consapevolezza. Da un lato la consapevolezza che i cambiamenti che sono avvenuti nella società e nella chiesa per quanto riguarda la presenza e la partecipazione delle donne sono stati molto veloci e sono molto recenti: stiamo parlando infatti di un arco di tempo che è più breve di un secolo, nel corso del quale le condizioni di vita e le reali possibilità offerte alle donne sono diametralmente cambiate. In secondo luogo, si tratta di riconoscere il fatto che i processi storici di trasformazione non dipendono in modo puntuale dalla volontà dei singoli individui, ma da combinazioni di fattori complessi e quasi impossibili da controllare. Questo significa che il mio contributo al cambiamento è sempre e allo stesso tempo importante e insufficiente; essenziale e superfluo. Se ci poniamo in prospettiva storica, ci rendiamo conto che questi cambiamenti per quanto ci appaiano lenti nella nostra percezione, sono in realtà molto veloci. Come credenti, siamo chiamati a riconoscere nella trama di questi cambiamenti che sfuggono al nostro controllo la presenza di Dio e l’azione de suo Spirito. Al numero 60, il documento finale del sinodo, in riferimento alla possibilità per le donne di assumere responsabilità all’interno della Chiesa, afferma che non si può fermare l’azione dello Spirito. Credo che sia importante collegare questa espressione a quanto Giovanni XXIII aveva compreso, già alla vigilia del Concilio Vaticano II e cioè che l’ingresso delle donne sulla scena pubblica in ambito sociale politico e lavorativo è un segno dei tempi. Anche se, nel corso dei cinquant’anni che ci separano da quella presa di coscienza, le comunità ecclesiali non sempre hanno saputo essere all’altezza di quella intuizione, ora finalmente il Sinodo la riconosce e la assume in modo inequivocabile e vincolante: nel desiderio espresso costantemente e tenacemente dalle donne di potere partecipare più attivamente e in modo corresponsabile alla vita e alla gestione del potere nella Chiesa, viene riconosciuto un segno della presenza e dell’azione di Dio a favore della sua Chiesa e dell’umanità. Non si può fermare l’azione dello Spirito significa anche che, se pure qualcuno o anche molti continuassero a porre ostacoli e freni ad una più piena partecipazione delle donne nella Chiesa, questo processo storico di cambiamento non potrà in ogni caso essere fermato, poiché si tratta di un movimento che supera le singole volontà dei credenti, che siamo chiamati a collaborare, non ad ostacolare, poiché chi si mette contro questo processo, si mette contro Dio stesso.
- Ascolto e parresia
Tutto il processo sinodale è stato accompagnato da un’enfasi molto forte sul tema dell’ascolto, enfasi che ha creato una certa frustrazione in alcuni credenti e in alcuni gruppi o ambienti ecclesiali, perché ha suscitato il sospetto che insistere sull’ascolto fosse un modo per temporeggiare, per tirare il freno, stancare le persone che chiedono le riforme, rimandando continuamente e indefinitamente le decisioni. Personalmente, l’enfasi sull’ascolto è uno degli elementi che sostiene il mio moderato ottimismo, in quanto mettersi in ascolto significa dare la parola. Ci si mette in ascolto quando si presuppone che un altro diverso da noi abbia qualcosa da dire. L’enfasi sull’ascolto, perciò non può che andare insieme ad un invito alla parresia. La forma di Chiesa nella quale siamo inseriti e nella quale viviamo il processo sinodale è una caratterizzata fortemente dalla sua dimensione gerarchica. Per quanto riguarda le donne, in particolare, l’enfasi sull’ascolto ha voluto dire che la componente gerarchica della Chiesa ha fatto lo sforzo di mettersi in ascolto della loro voce, creando spazi di parresia come quello che ho avuto la possibilità di sperimentare negli incontri con il Papa e il C9, una possibilità abbastanza nuova rispetto almeno alla storia moderna della Chiesa. L’ascolto degli uni, dunque, funziona nella misura in cui incontra la parresia degli altri. Capacità di mettersi in ascolto e capacità di esprimersi con apertura e sincerità devono crescere insieme ed entrambe richiedono fiducia e rispetto reciproco, capacità che, a mio parere, abbiamo appena iniziato ad allenare, per cui c’è ancora tanta strada da fare. L’ascolto, così inteso, è un atto rivoluzionario, perché ci permette di toglierci dal centro e di lasciare quello spazio a disposizione degli altri perché possano parlare. Ascoltare ed esprimersi in modo libero è un atto rivoluzionario e forse è anche l’unica strada che può permetterci di uscire progressivamente dalle polarizzazioni che caratterizzano in modo molto forte questo tempo della vita ecclesiale. Nell’incontro con il Papa e il C9 lo abbiamo sperimentato: cioè abbiamo fatto l’esercizio di lasciare all’altro la possibilità di dire tutto quello che pensa senza censure, senza autocensure. Dalla nostra parte di ospiti-specialisti, abbiamo sempre voluto che questo dono di essere ascoltati e fosse restituito, prevedendo e custodendo il tempo dell’interazione e del dialogo, in modo che tutti potessero prendere la parola ed esprimere il proprio parere, raccontare la propria esperienza, anche in forma dialettica o contraddittoria quando necessario.
- Il primo passo da fare: abbandonare l’idealizzazione
Nel suo discorso ai partecipanti all’assemblea sinodale che hanno voluto maggiori spiegazioni in merito al gruppo 5, il Cardinale Fernandez ha affermato con molta forza che il primo passo da fare nella Chiesa, rispetto al ruolo delle donne, consiste nell’abbandonare l’idealizzazione delle donne, una tendenza che bene si riassume in quella espressione tanto cara al magistero sulla donna degli ultimi pontefici che è il “genio femminile”. Giustamente Fernandez riconosce la pericolosità di questa abitudine ad idealizzare le donne, perché l’idealizzazione dell’altro crea aspettative irreali e impedisce i cambiamenti. Si tratta di un tema che la letteratura femminista ha esplorato da tempo, ma che rimane spesso ostico da comprendere per molti uomini e donne nella Chiesa. Questo è stato il primo tema che abbiamo voluto affrontare con il C9 e il Papa, nell’introduzione al primo volume, riconosce di essere rimasto spiazzato dalla nostra riflessione. È interessante sottolineare che il documento finale del sinodo, nella sezione dedicata ai Vescovi, afferma che è importante aiutare i fedeli a non idealizzare la figura del Vescovo. Nella sua relazione al C9, Lucia Vantini cita un discorso del Papa, nel quale gli parala del rischio di idealizzare la sua figura e credo che nessun Papa come Francesco si sia impegnato ad impedire ai credenti di cadere in questa idealizzazione. Il fatto è che idealizzazione, ideologia e idolatria sono fortemente legati tra di loro: si tratta, in ognuno di questi tre casi, di trasformare la realtà vivente dell’altro, con le sue fragilità, le sue resistenze, i suoi lati oscuri, le sue difformità rispetto alla norma, in una statua, ovvero in qualcosa che è determinato, chiaro, controllabile e che rimane fermo, all’interno della nicchia che gli è stata preparata. C’è proprio un problema, nella Chiesa, legato all’idealizzazione dell’altro, non importa chi sia la persona idealizzata: le donne in generale; una donna in particolare, che sia la Madonna o la nostra mamma; il Papa o i Vescovi. Dal punto di vista psicologico, rinunciare all’idealizzazione dell’altro e accettarlo e amarlo per quello che è, con i suoi pregi e difetti, significa diventare adulti, diventare capaci di amare e di relazionarsi con gli altri da adulti. Ogni credente, infatti, e anche il santo, vive una vita segnata dalla fragilità, ha dei doni
e dei carismi insieme a tanti limiti e nessun essere umano rientra perfettamente in una categoria fissata. Gli esseri umani sono individualità e perciò tendono ad uscire fuori dagli schemi e dagli ordini, mentre l’idealizzazione serve proprio per mantenere le cose come stanno, è un modo per inchiodare le persone ad uno schema ben definito. A questo si riferisce la famosa espressione di Evangelii Gaudium: la realtà è più grande dell’idea. Il fatto che il Prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, in una conferenza pubblica, registrata e divulgata, abbia affermato con forza che bisogna uscire dalla trappola dell’idealizzazione è per me un segno di grande speranza.
- Il nodo ministero/potere
Il numero 60 del documento finale del Sinodo afferma che la questione dell’ordinazione diaconale delle donne rimane aperta. E questo è il quarto motivo che mi fa essere ottimista, ovvero il fatto che sia stato riconosciuto il bisogno di approfondire, di studiare, di dialogare e di discernere a proposito di questo tema che, sia dal punto di vista teologico che dal punto di vista sociologico, tocca un nodo indispensabile da affrontare per il futuro della Chiesa, ovvero quello della relazione tra ministero e potere. Si tratta di un nodo molto intricato, al quale si sta lavorando già da tempo, alcuni per renderlo più saldo, altri per scioglierlo. La questione è ingarbugliata, a mio avviso, anche a causa dell’antica abitudine ecclesiastica di usare la retorica del servizio per coprire le ambiguità, gli abusi, e cercare di evitare il discorso sulla gestione del potere all’interno della Chiesa. Si fatica molto, nelle comunità cristiane, a parlare apertamente del potere, delle sue ambiguità e delle sue forme. La richiesta delle donne di accedere al ministero ordinato, mette per così dire il dito nella piaga. Che cosa chiedono le donne quando chiedono l’ordinazione? Chiedono di condividere il potere oppure chiedono il potere di servire? E che cosa sono disposti a concedere loro gli uomini che appartengono alla struttura gerarchica della comunità: la gestione del potere o la possibilità di servire? Nel documento finale del sinodo ritorna più volte l’invito a discernere che cosa veramente spetta al ministero ordinato e che cosa, invece, può competere anche ad altre figure e ministeri laicali. Non tutte le donne chiedono l’ordinazione. Alcune chiedono di potere essere rese compartecipi delle decisioni e del discernimento. Alcune chiedono di poter celebrare i sacramenti, servire la comunità presiedendo la mensa eucaristica e offrendo il perdono. La stessa cosa si potrebbe dire di molti laici sposati, che chiedono l’ordinazione oppure chiedono maggiore partecipazione. Il potere, come dimensione positiva dell’esperienza umana, è possibilità, sempre. Attraverso alcune scelte coraggiose, che ormai sono diventate prassi, il Papa ha già voluto dare prova del fatto che il potere di gestire, di governare, di amministrare nella Chiesa non dipende dall’ordinazione ma dal battesimo. Si tratta tuttavia di una prassi che ha bisogno di essere maggiormente riflettuta e codificata. Ciò che distingue l’abuso dal servizio, non è il luogo o la forma in cui si esercita – ministeriale o laicale – quanto piuttosto i frutti che produce per il bene della comunità. In che modo celebrazione dei sacramenti e governo delle comunità siano collegati e in che misura possano essere accessibili alle donne e ai laici è un discernimento faticoso ma salutare che impegnerà la teologia e il magistero nei
prossimi anni. Qualunque sia il suo esito, il discernimento serio sulla richiesta delle donne di accedere ai ministeri ordinati produrrà inevitabilmente una trasformazione della comprensione del ministero, della sua natura e dei suoi compiti.
- La sfida del cambio d’epoca e il ruolo della cultura
Il riferimento al cambio d’epoca è un tema molto oh caro a Papa Francesco che vi ritorna continuamente nei suoi discorsi e in molti dei suoi documenti. Attraversare un cambio d’epoca significa attraversare una crisi che tocca prima di tutto le istituzioni fondamentali che danno forma alla nostra vita quotidiana. Si tratta di una crisi che sta avvenendo sotto i nostri occhi e che non possiamo ignorare: la famiglia; la scuola; i governi; le comunità ecclesiali sono tutte istituzioni che in un modo o nell’altro stanno attraversando un momento di crisi, e che “non sono più come prima”. Ora, la Scrittura insegna che la crisi è fondamentale perché ci sia rinnovamento: nel racconto del diluvio universale, la nuova creazione nasce dopo la distruzione di tutto ciò che era ormai vecchio. La creazione viene riportata al caos originario, dal qual viene tratto il mondo nuovo. Come il vasaio, di cui parla il profeta Isaia, Dio reimpasta il mondo, per offrire agli esseri umani una nuova possibilità. Penso che in molti ambiti della nostra vita quotidiana stiamo sperimentando una specie di caduta libera, una specie di ritorno al caso, che ci spaventa fortemente e di fronte alla quale ci sentiamo perduti. La creazione nuova, tuttavia, si potrà realizzare pienamente soltanto con la nostra collaborazione, come è capitato con Noè. Questa trasformazione, questo travaglio, tocca anche il rapporto tra i generi all’interno delle nostre società e della Chiesa. Lo storico italiano Alessandro barbero, afferma che la nostra società è la prima società nella storia del mondo che prova a pensarsi come egualitaria, rinunciando a quella rigida divisione di ambiti e di ruoli che ha caratterizzato tutte le culture umane conosciute ed è normale che il