Un tema, quello che mi viene proposto, di grande interesse che evidenzia la dinamicità della vita consacrata chiamata a tessere relazioni generative che rende la sua testimonianza efficace e il suo annuncio profetico. È un tema che richiama innanzitutto un concetto importante: la trasformazione, un concetto di dinamicità, un concetto di una formazione che ci pone in continua ricerca, in una continua uscita da noi stessi, verso “il noi”, verso la comunione che rende credibile la nostra missione.
Stiamo attraversando tempi difficili in cui stiamo vivendo una crisi dopo l’altra: la pandemia, le calamità naturali (cicloni, terremoti…), le ondate di calore estremo e la siccità, in altre parti del globo, dovute ai cambiamenti climatici, la guerra e la crisi energetica. Le sfide economiche e sociali sempre più pressanti stanno spingendo uomini e donne a lasciare la loro terra per consegnarsi all’ignoto e affrontare queste crisi, soprattutto a lungo termine, richiede un solido impegno, a tutti i livelli.
La pandemia è stata uno dei fattori scatenanti l’incertezza economica e ad evidenziare la vulnerabilità dell’essere umano. Abbiamo bisogno gli uni degli altri e la fragilità può diventare una risorsa soltanto se Assunta e accolta insieme.
È un tempo di caos, ma anche di Kairos: tanta confusione, ma anche tempo di nuove idee, di prospettive, di percorsi di speranza. Sono tempi in cui siamo interpellati, in modo particolare noi consacrati, a curare una dinamica generativa capace di condurre le comunità religiose verso stili di vita rinnovato dal Vangelo.
Lo scenario è caratterizzato da un “cambiamento profondo e continuo di cui a fatica riusciamo a definire le caratteristiche[1]”. Assistiamo ogni giorno a sviluppi sempre nuovi di una rivoluzione socio-culturale, economica, tecnologica ed ecclesiale, mentre si osserva l’incrementarsi della pluralità etnico-culturale e il crescere a dismisura dell’offerta di possibili visioni della vita.
In questo contesto di ricerca, di approfondimento la spinta a cammini sinodali generative perché ci invitano al superamento “dell’io” e alla costruzione profetica e sapienziale del “noi”.
La sinodalità è il cammino che Dio attende dalla Chiesa nel Terzo Millennio, come ha affermato Papa Francesco nel discorso del 17 ottobre 2015, in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi.
“La sinodalità non è un cammino segnato in partenza e richiede di aprirsi all’inatteso di Dio che, attraverso l’ascolto degli altri, giunge a toccarci, a scuoterci, a moderarci interiormente. Cammino di discernimento in comune di una assemblea radicata nell’eucaristia che prende coscienza di sé e si mette in strada insieme, la sinodalità è fondamentalmente chiamata alla conversione per elaborare e produrre una comunione missionaria al servizio del mondo. Essa è un processo che si svolge nel tempo. Ha bisogno di un inquadramento e di una struttura ma, in modo più fondamentale, è lo stile peculiare che qualifica la vita e la missione della Chiesa, esprimendone la natura come camminare insieme e il riunirsi
in assemblea del Popolo di Dio convocato dal Signore Gesù nella forza dello Spirito Santo per annunciare il Vangelo”.[1]
La vita religiosa è per sua natura sinodale e pertanto deve tendere ad incarnare questo stile comunionale sia all’interno delle fraternità sia all’esterno, nel dialogo e nella condivisione con gli altri. Non si tratta di rinunciare alla nostra identità carismatica, ma di condividerla con altri, senza chiusure e senza settarismi.
Papa Francesco si pone come un faro in questo cammino indicandoci la chiamata ad “essere Chiesa, essere comunità che cammina insieme. Non basta un sinodo, bisogna essere sinodo”. Già qui è una parola chiave, forte. Non basta un sinodo, non basta mettersi insieme, non basta stare qui insieme, bisogna essere insieme. Se, come consacrati, desideriamo porci in maniera generativa nella missio Dei, dobbiamo avvertire l’invito ad essere missione, ad essere annuncio di comunione con la vita condivisa, in un dialogo fecondo. Questo processo richiede un cambiamento di mentalità, una trasformazione.
“La Chiesa ha bisogno di un’intensa condivisione interna, – dice ancora Papa Francesco – un dialogo vivo tra i membri dello stesso corpo[2]”. Siamo membri di uno stesso corpo. É tempo di un linguaggio nuovo. É il tempo di tessere relazioni nuove capaci di condurre all’incontro con il Risorto e questo è frutto dell’impegno di uomini e donne, innanzitutto credenti e radicati in una fede matura, autentica che incoraggia a spendersi per il Vangelo con responsabilità etica mettendo al centro la persona, da sempre oggetto dell’amore divino.
Ogni giorno occorre fare sinodo, impegnandosi a camminare con gli altri, senza lasciare indietro nessuno. «La Chiesa ha bisogno di un’intensa condivisione interna: dialogo vivo tra le membra del corpo. Ogni giorno occorre fare Sinodo, sforzandosi di camminare insieme, non-solo con chi la pensa allo stesso modo – questo sarebbe facile -, ma con tutti i credenti in Gesù[3].» Impegnarsi di camminare insieme, non solo con chi riusciamo a condividere visioni e progetti, ma, con l’intero popolo di Dio, intraprendere percorsi e itinerari di speranza e di vita condivisa per la missione.
“Essere una chiesa sinodale significa – continua il Pontefice – tornare a «camminare insieme» realmente per portare in ogni parte del mondo, in ogni comunità e in ogni situazione la luce del Vangelo, l’abbraccio della Chiesa e il sostegno della misericordia di Dio”.[4] E’ un invito all’ascolto profondo e alla partecipazione di ciò che siamo, imparando, giorno dopo giorno, a diventare fratelli e sorelle, nell’integrazione delle nostre diversità e nell’accoglienza delle nostre unicità, portando ogni giorno il Vangelo, l’abbraccio della Chiesa, il sostegno della misericordia di Dio.
“Uno stile sinodale non ha come obiettivo principale la stesura di un documento, – ci ricorda Papa Francesco – che pure è prezioso e utile. Più del documento è importante che si diffonda un modo di essere e di lavorare insieme, nell’ascolto e nel discernimento, per giungere a scelte pastorali rispondenti alla realtà.[5]”
Il documento più importante che dobbiamo scrivere con la nostra vita è stare insieme, è creare un noi comunionale che assume la missio Dei ed è pronta a condividerne i frutti nella libertà dello Spirito. Attraverso l’ascolto, il discernimento e la partecipazione sapienziale di intuizioni e prospettive, poter giungere insieme a scelte coraggiose e audaci per la missione, è un segno per la Chiesa e il mondo di oggi.
Questa è la nostra missione: esprimere, nel vincolo della fraternità, la comunione Trinitaria: Dio che cammina in mezzo al Suo popolo e sostiene, in Gesù l’umanità in cammino verso il Regno.
La nostra missione è condividere come popolo di Dio l’invito a rilanciare e narrare l’umano segnato da Gesù, attraverso modalità nuove di stare in relazione, approcci autentici, concreti e ricchi di umanità.
Uno stile sinodale che ha come obiettivo, no la stesura di un documento o l’elaborazione di procedure, la programmazione di progetti, ma l’esperienza di una comunione di generativa.
Ci viene chiesto, oggi, più che in altri momenti storici, la profezia della prossimità e dell’accoglienza come spazio generativo per essere, nella Chiesa e nel mondo, lievito di novità, seme di cambiamento.
Scrive Nathalie Becquart – sottosegretaria del Segretariato Generale del Sinodo dei Vescovi – che la sinodalità non è una strada segnata in partenza. Richiede di aprirsi all’inatteso di Dio che, attraverso l’ascolto degli altri, giunge a toccarci, a scuoterci, a modificarci interiormente. A noi fa paura questo, aprirci a ciò che non conosciamo. Aprirci alla novità attraverso l’ascolto degli altri, a lasciarci toccare, scuotere e sfidare dagli altri, da ciò che è diverso e non conosciuto.
“La sinodalità è un modus vivendi et operandi che si realizza attraverso l’ascolto comunitario della Parola e la celebrazione dell’eucaristia, la fraternità della comunione e la corresponsabilità e partecipazione di tutto il popolo di Dio, ai vari livelli e nella distinzione dei diversi ministeri e ruoli, alla sua vita e alla sua missione[1].
La sinodalità è un modo di vita che favorisce e sviluppa la partecipazione e la collaborazione di tutti. Per entrare nello stile e nella pratica della sinodalità, abbiamo bisogno di coltivare e di dispiegare attitudini spirituali: l’ascolto, il dialogo, l’empatia, la libertà interiore e la libertà di parola, l’umiltà, la ricerca della verità e soprattutto la fiducia nello Spirito Santo che soffia in ognuno e nel gruppo che cammina insieme.
Emerge con forza la necessità di porsi l’uno accanto all’altro nel progettare e lavorare per l’edificazione del Regno. Abbiamo bisogno di uno stile di compartecipazione privo di ogni forma di “clericalismo”.
L’esperienza della sinodalità è prima di tutto un’esperienza dello Spirito, è un cammino aperto, non tracciato in anticipo, che si tesse grazie all’incontro, al dialogo e alla condivisione che viene ad allargare e modificare la visione di ognuno. Entrare nella sinodalità significa accettare di mettersi in cammino, di vivere da pellegrini in una Chiesa pellegrina in ascolto del reale, del grido dei poveri e dei bisogni del mondo.
«La sinodalità è “una danza insieme” nella quale tutti, pastori e fedeli, grazie a un dialogo vivo e a una condivisione nella fiducia, si muovono in relazione gli uni con gli altri nell’ascolto reciproco e nell’ascolto comune della musica dello Spirito.»[2] “È l’arte di una Chiesa che si lascia rinnovare per diventare sempre di più una Chiesa Relazionale, inclusiva, dialogante e generativa, vale a dire una Chiesa in via di formazione che rinasce senza sosta con e grazie a coloro che la fanno viverre.”[3]
C’è una chiamata profonda da riscoprire che è quella di vivere nel respiro della Trinità. Tutti siamo dentro questo respiro. Camminare insieme è vivere dentro questo spazio generativo, nel grembo della Trinità, attraverso la fraternità e la comunione. È necessario porsi in ascolto dello Spirito riconoscendo che la sinodalità è un modus vivendi ed operandi che si realizza attraverso la fraternità, la corresponsabilità e la partecipazione di tutti ai vari livelli nella distinzione dei diversi ministeri e ruoli alla vita e alla missione della Chiesa. Si tratta di uno stile, di una pratica, di una maniera di essere Chiesa nella storia, «a immagine della comunione trinitaria», secondo papa Francesco: “La pratica della sinodalità, tradizionale, ma sempre da rinnovare è l’attuazione, nella storia del popolo di Dio in cammino, della Chiesa come mistero di comunione, a immagine della comunione trinitaria. La sinodalità è uno stile, è un
camminare insieme, è quanto il Signore si attende dalla Chiesa del Terzo millennio».
La corresponsabilità è l’appello profetico ad assumere la custodia dell’altro, a sentirci responsabili in quanto ogni fratello/sorella mi appartiene. Le ferite, le vulnerabilità dell’altro diventano la mia carne: l’altro mi appartiene. Si tratta di uno stille di vita, di una pratica di essere Chiesa a immagine di questa comunione Trinitaria, perché la pratica della sinodalità ci rinnova, ci cambia dentro, perché è uno stile è uno camminare insieme ed è questa la Chiesa del terzo millennio, è questa è la Chiesa, la comunità umana che il mondo si attende da questo terzo millennio. Diciamo sempre che la vita consacrata rappresenta sempre questo segno di fraternità proprio perché è questo spazio abitato dalia Trinità e in questo m modo, la vita consacrata, in particolare la vita religiosa deve mostrarsi come icona di questa sinodalità di questo camminare reciproco, insieme.
Nel corso della storia della Chiesa, la vita consacrata, in particolare gli istituti religiosi, è stata espressione della vita sinodale. La sinodalità esige che si cammini nel respiro della Trinità. Ora, la vita fraterna in comunità, in virtù della quale le persone consacrate tentano di vivere in Cristo con «un cuore solo e un’anima sola» (At 4, 32), è proposta come un’eloquente “confessione trinitaria” (Vita Consecrata, 21).
Uno dei risultati più belli di questa riflessione sinodale è quello che sta aiutando a tutti noi ad assumere con rinnovata consapevolezza che la vita religiosa, la vita consacrata ha questa natura profondante comunionale. Ed è questa la nostra missione. La comunione è proprio questo, con- dividere, con – partecipare, assumere la stessa visione. Assume con-partecipare. La comunione è mangiare lo stesso pane. Dobbiamo avvertire la chiamata a crescere nella comunione, nella comunione di intenti, nella ricerca del bene per gli altri. Questo si realizza attraverso un modo nuovo di stare in relazione. Credo che la prima missione che siamo chiamati tutti noi a costruire oggi è un modo nuovo di stare in relazione tra noi, coltivando l’incontro, favorendo la mistica del vivere insieme. Una mistica che poi si fa l’ascolto degli altri, un ascolto profondo, l’assoluzione pena del farsi carico degli altri, soprattutto di coloro che fanno più fatica.
Curando le nostre relazioni, tessendo alleanze nuove e rafforzando la prossimità riusciremo ad individuare strategie missionarie innovative e riescono a dare risposte adeguate alle tante istanze del nostro tempo.
Ci sono molti ambiti dove noi possiamo vivere la sinodalità e, sicuramente le fraternità/sosorità sono luoghi privilegiati in cui impariamo la mistica dell’incontro.
Se vogliamo essere uomini e donne in missione, dobbiamo interrogarci come la viviamo nelle nostre fraternità perché fratelli e sorelle si diventa. La trasformazione che il mondo si attende da noi è la creazione di spazi ricchi di comunione e di condivisione tra le persone, ma anche percorsi semplici ed efficaci in cui osare e sperimentare le dimensioni del vivere tra fratelli e sorelle, dove il protagonismo e l’individualismo cedano il passo alla dimensione del “noi”.
A partire da una visione sinodale della vita fraterna in comunità, si deve ribadire con forza la necessità di una conversione dall’“io” (individualismo) al “noi”, in cui ogni membro si senta responsabile della crescita dell’altro. Una vita fraterna in comunità che vuole presentarsi in stile sinodale deve essere aperta alla partecipazione di tutti, all’ascolto di tutti, a contare su tutti quando si tratta di discernimento.
Noi assorbiamo quello che viviamo fuori. C’è un grande individualismo e anche nelle nostre fraternità. A volte c’è anche il rischio che i nostri ministeri sono una risposta al nostro individualismo.
Le nostre comunità di vita devono diventare luoghi generativi: comunità o meglio koinonie, luoghi in cui attraverso l’impegno quotidiano si diventa artigiani di comunione e si passa da comunità di vita a comunione di vita. È la comunità chiamata dallo Spirito Santo ad assumere questo bellissimo e impegnativo percorso, a diventare “grembo”
generativo di vita, luogo della fecondità dell’amore attraverso non soltanto un progetto, ma soprattutto come stile di vita. È frutto di tanto impegno da parte di ciascuno.
L’esperienza intercongregazionale è un dono per la Chiesa del Terzo Millennio. La vita consacrata e chiamata ad andare in pellegrinaggio con altre persone consacrate. Noi camminiamo insieme, siamo pellegrini insieme in atteggiamento di dialogo carismatico. Siamo in dialogo carismatico dove i nostri carismi si arricchiscono vicendevolmente. C’è una ricchezza dai nostri incontri perché ogni carisma è un dono per la Chiesa e, nella Chiesa diventiamo l’uno dono per l’altro. Siamo incoraggiati ad unire le forze per portare avanti progetti comuni, a cercare risposte alle tante sfide di questo momento storico che stiamo vivendo. È il momento di uscire, di mettersi insieme, di mettesi in cordata e rendere i nostri percorsi ricchi di un Vangelo narrato, sperimentato, vissuto. Guardando la realtà nella quale siamo immersi proviamo a individuare e sperimentare nuovi percorsi, realizzare momenti inclusivi, vibranti, aperti all’esistenza e al Vangelo, in cui trovare interesse e cuore.
L’orizzonte del futuro è proprio questo: camminare insieme accogliendo le nostre differenze e valorizzando il meglio che ognuno di noi ha per costruire a partire dalla fraternità intercongregazionale: la comunione per la missione. È questa è la forza che orienta il nostro stare insieme e deve aiutarci a superare le sfide delle nostre diversità. Noi ci fermiamo tanto sulle nostre differenze e a volte ne farciamo degli ostacoli, invece di guardare le nostre diversità. La diversità è una ricchezza, la differenza è un ostacolo per progetti comuni.
Crescere nella comunione tra i diversi carismi: è questa è la profezia che il mondo attende. É arrivato il momento della comunione solidale, come frutto positivo di una purificazione dello Spirito che dilata i cuori e ci rende più aperti alla comunione come bisogno e dono reciproco.
La complessità dell’oggi, le problematiche mondiali richiedono completezze, interpellano tutti, invitano a prendere coscienza che non è più possibile camminare ciascuno per proprio conto. L’individualismo porta lontano, allora mettersi insieme è anche una strategia non è soltanto un bisogno, è una strategia.
«Le sfide della missione sono tali da non poter essere efficacemente affrontate senza la collaborazione, sia nel discernimento che nell’azione, di tutti i membri della Chiesa; una collaborazione che inizia dal rapport comunionale fra le persone consacrate e i loro istituti.» (Vita consacrata n.46)
In Ripartire da Cristo leggiamo che «La comunione che i consacrati e le consacrate sono chiamati a vivere va ben oltre la propria famiglia religiosa o il proprio istituto. Aprendosi alla comunione con gli altri istituti e le altre forme di consacrazione, possono dilatare la comunione, scoprire le comuni radici evangeliche e insieme cogliere con maggior chiarezza la bellezza della propria identità nella varietà carismatica, come tralci dell’unica vite. Dovrebbero gareggiare nella stima vicendevole per raggiungere il carisma migliore, la carità» (n.30).
Queste parole ci richiamano a vivere una profonda esperienza di comunione e di collaborazione.
Consapevoli che soltanto una stima reciproca, l’accoglienza dei diversi carismi ci può aiutare a camminare insieme e a dare quella testimonianza credibile che il mondo vuole vedere da noi. Ci sono già l’esperienza positive in atto. Ci sono già strutture valide a molti livelli e voi ne siete testimoni. Dobbiamo sostenerle queste esperienze, dobbiamo ancora riconoscere però che c’è tanto cammino ancora da fare.
Formiamo una forte catena gli uni con gli altri, continuiamo a coinvolgerci in una missione comune dalla ricchezza delle diversità dei carismi, perché la nostra piccolezza diventa così amplificata e possiamo essere presenti dove da soli non potremmo arrivare, ma soprattutto ne riusciamo arricchiti, perché ne usciamo insieme.