Charism Missionary Institutes and synodality – charism, prophecy and witness
Fabio Ciardi, OMI
Questo mio intervento prende avvio dalla convinzione che i carismi sono parte costitutiva del cammino sinodale. La Chiesa non può camminare senza i carismi, che fanno parte della sua natura, e i carismi non possono camminare da soli, ma soltanto se pienamente inseriti in tutto il popolo di Dio.
«Nessuno è cristiano da solo!», ha detto papa Leone XIV ai rappresentanti dei Movimenti ecclesiali e delle nuove comunità. «Siamo parte di un popolo, di un corpo che il Signore ha costituito» (6 giugno 2025). Ricordiamo inoltre le prime parole della sua salute iniziale: «A tutti voi, fratelli e sorelle di Roma, d’Italia, di tutto il mondo: vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la pace, che cerca sempre la carità, che cerca sempre di essere vicino specialmente a coloro che soffrono» (8 maggio 2025).
Il cammino sinodale avviato da papa Francesco (per la verità avviato dallo Spirito Santo il giorno di Pentecoste) continua! E noi ne siamo protagonisti.
I carismi trovano la loro piena identità in questo cammino, nella condivisione del proprio dono, perché la condivisione è nella natura stessa del carisma. Nello stesso tempo la condivisione arricchisce il carisma consentendogli la piena manifestazione delle potenzialità in esso racchiuse. In questo cammino fatto insieme e nella reciproca condivisione vi è infatti un di più che va oltre la somma delle componenti, un di più che ha la consistenza mistica nel Signore Risorto presente tra quanti sono uniti nel suo nome. È ben più della semplice cooperazione. «La vita cristiana – ha ricordato in proposito papa Leone – non si vive nell’isolamento, come se fosse un’avventura intellettuale o sentimentale, confinata nella nostra mente e nel nostro cuore. Si vive con gli altri, in un gruppo, in una comunità, perché Cristo risorto si rende presente fra i discepoli riuniti nel suo nome» (6 giugno 2025).
Seguirò cinque piste, a cerchi sempre più ampli, con una conclusione “metodologica”:
Carismi personali in relazione all’interno del medesimo carisma.
Carismi in relazione all’interno della Famiglia carismatica.
Carismi in relazione tra di loro.
Carismi in relazione con le diverse vocazioni ecclesiali.
Carismi in relazione con il mondo.
Un metodo per la comunione.
1. Carismi personali in relazione all’interno del medesimo carisma
Mi dilungherò abbastanza su questo primo punto, perché sono convinto che se non riusciamo a vivere la sinodalità all’interno del proprio Istituto, sarà molto difficile viverla nel più ampio raggio ecclesiale.
Non possiamo pensare il carisma dell’Istituto come una realtà monolitica, anonima. «La vita religiosa – ha rilevato papa Francesco il 7 novembre 2022 parlando ai membri dell’Istituto di vita consacrata “Claretianum” – si comprende solo da ciò che lo Spirito fa in ciascuna delle persone chiamate»1. Ogni persona è invitata a offrire un proprio apporto per la comprensione e l’attuazione del carisma. Come ricorda l’Istruzione Mutuae relationes, «Anche ai singoli religiosi certamente non mancano i doni personali, i quali indubbiamente sogliono provenire dallo Spirito [si tratta dunque di “carismi” personali], al fine di arricchire, sviluppare e ringiovanire la vita dell’istituto nella coesione della comunità e dare testimonianza di rinnovamento» (n. 12).
Il primo livello della relazione tra carismi domanda dunque di essere vissuto all’interno del comune carisma che caratterizza un Istituto missionario, per sua natura comunitario, collettivo, partecipato, condiviso, fatto dal convergere di una molteplicità di persone attorno al medesimo progetto.
Il bisogno di condivisione carismatica nasce dalla consapevolezza che ogni membro dell’Istituto è un unicum, irrepetibile, indispensabile: oggetto d’amore personale da parte di Dio, con una vocazione propria nella comune vocazione, arricchito di doni particolari che non sono soltanto per lui, ma per essere messi a servizio della medesima missione, in modo che vi sia un unico convergere di tutti i membri della Famiglia, in una dinamica di unità che arricchisce e potenzia il comune carisma, così che possa dare la massima efficacia nel servizio alla Chiesa. «È nella comunione, anche se costa fatica, che un carisma si rivela autenticamente e misteriosamente fecondo», leggiamo nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (n. 130).
Mi sembrano significativi i verbi dinamici e attivi che Mutuae relationes impiega per indicare il contributo che i singoli membri di un Istituto sono chiamati a offrire con i loro personali carismi: “arricchire, sviluppare e ringiovanire”. Arricchire: il patrimonio carismatico ricevuto occorre farlo fruttare ulteriormente. Sviluppare: il carisma, nella sua ricchezza, contiene elementi ancora non pienamente espressi che attendono di essere portati alla luce con intraprendenza, sperimentazione, creatività. Ringiovanire: il carisma ha bisogno di essere attualizzato in contesti culturali sempre nuovi, con la sensibilità del proprio tempo. È il compito di ciascuno, chiamato a rendersi responsabile, attivo, protagonista nel portare avanti la missione dell’Istituto.
Occorre offrire spazio alla singola persona, dare la possibilità di esprimere le diversità, liberare i doni di ognuno: se vissuti con coordinazione e armonia, costituiscono una via per la realizzazione della persona e un arricchimento per l’intero gruppo.
«Il primo servizio di cui ciascuno è debitore all’altro – scrive Dietrich Bonhoeffer in La vita comunitaria dei cristiani – consiste nell’ascoltare l’altro. Come il nostro amore per Dio comincia con l’ascolto della sua Parola, allo stesso modo l’amore per il fratello comincia imparando ad ascoltarlo. L’amore di Dio per noi si esprime non solo nel dono a noi della sua Parola, ma anche nel suo prestare a noi orecchio. E noi, di pari, compiamo la sua stessa opera verso il fratello quando impariamo ad ascoltarlo» .
E questo grande teologo e testimone della fede in tempi bui, per situazioni così simili a quelle che viviamo anche oggi, ci interpella e mette in guardia: «Chi non riesce a dare retta al proprio fratello, finisce per non ascoltare più neppure Dio stesso e per voler sempre lui parlare. La morte della vita spirituale comincia qui e, alla fine, non sopravvive altro che la chiacchiera spirituale, quella sorta di condiscendenza clericale che soffoca ogni cosa con le parole devote»3.
È un tema che era particolarmente caro a papa Francesco, convinto che l’unità è molteplice:
L’uniformità non è cattolica, non è cristiana. […] L’unità non è uniformità, non è fare obbligatoriamente tutto insieme, né pensare allo stesso modo, neppure perdere l’identità. Unità nella diversità è precisamente il contrario, è riconoscere e accettare con gioia i diversi doni che lo Spirito Santo dà ad ognuno e metterli al servizio di tutti nella Chiesa. Unità è saper ascoltare, accettare le differenze, avere la libertà di pensare diversamente e manifestarlo! Con tutto il rispetto per l’altro che è mio fratello. Non abbiate paura delle differenze!4.
Quante sensibilità diverse, quante diverse sottolineature del medesimo mistero cristiano! Basta che vi sia l’accoglienza reciproca riconoscendo le differenze di cui ognuno è portatore, lasciandosi arricchire dalle molteplici prospettive, senza irrigidimenti, esclusioni, condanne. Anche su questo l’insegnamento di papa Francesco è illuminante:
Le differenze tra le persone e le comunità a volte sono fastidiose, ma lo Spirito Santo, che suscita questa diversità, può trarre da tutto qualcosa di buono e trasformarlo in dinamismo evangelizzatore che agisce per attrazione. La diversità dev’essere sempre riconciliata con l’aiuto dello Spirito Santo; solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e, al tempo stesso, realizzare l’unità. Invece, quando siamo noi che pretendiamo la diversità e ci rinchiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, provochiamo la divisione e, d’altra parte, quando siamo noi che vogliamo costruire l’unità con i nostri piani umani, finiamo per imporre l’uniformità, l’omologazione. Questo non aiuta la missione della Chiesa (n. 131).
Quando il dono personale è particolarmente forte e fecondo, la tentazione è di eccedere, creando iniziative proprie, in autonomia, come se si fosse un freelance, a volte fino a lasciare l’Istituto per dare piena libertà di iniziativa alla propria creatività. Oppure, quando si ha l’impressione che il carisma personale non venga sufficientemente riconosciuto o valorizzato, si può cadere nella depressione, nel ripiegamento, nell’inedia. La via regale è quella della “condivisione dei carismi” personali: mettere al servizio del carisma comune la propria creatività, fantasia, le energie, la passione, i talenti di cui si è dotati.
Il valore del governo di un Istituto si misura dalla capacità di riconoscere le doti dei membri, di favorirle, di orientarle costantemente verso la medesima missione, così da potenziare l’apporto che ogni opera è chiamata a dare alla Chiesa, evitando fughe solitarie e digressioni che potrebbero snaturare la natura dell’Istituto, garantendo l’unità della famiglia carismatica nella varietà dei ministeri e delle culture, mantenendo l’identità propria. Mutuae relationes invita i singoli religiosi ad agire “nella coesione della comunità” (n. 12).
Costituire una comunità non è semplicemente costruire spazi comuni, di libertà intese individualisticamente o di agi condivisi. Lo sottolinea Maurizio Bevilacqua in una sua pubblicazione sulla sinodalità nella vita consacrata: «è necessario che venga costruito un “noi comunitario” che faccia crescere ciascuno. Ciò deve accogliere le diversità come un dono e deve esprimere un impegno per un’integrazione positiva. Questo può essere anche un servizio che la vita consacrata offre alla società di oggi, sempre più multiculturale»5.
Non c’è futuro per la vita consacrata se non si mettono le persone in condizione di essere propositive e se le persone non si fanno carico, con audacia e creatività, della vita e della missione dell’Istituto in tutti i suoi aspetti.
Ci vuole sapienza nel valorizzare i doni e talenti diversi, nell’aiutarli a comporsi in armonia, evitando gelosie, grettezze, ma gioendo del contributo specifico e irrepetibile che ciascuno apporta. Per la paura di morire, vari Istituti sono portati «a concedere “spazi” non a persone lievito, ma a chi pensa di dare nuovo volto al carisma attraverso scelte imprenditoriali»6. C’è il pericolo di dare «libera intraprendenza» all’uno o l’altro religioso o religiosa di avviare progetti secondo i modelli di imprese7. Le risposte evangeliche rischiano di essere travisate «in risposte misurate sull’efficienza e la razionalità “da impresa”»8. E si finisce con il distaccarsi fortemente dalla raccomandazione di papa Francesco: «Non dobbiamo formare amministratori, gestori, ma padri, fratelli, compagni di cammino» e non “funzionalisti”9.
Se in una comunità non si vive una “sinodalità” vera, difficilmente si è capaci di aprirsi agli altri in una dimensione più ampia di condivisione con altri carismi.
2. Carismi in relazione all’interno della Famiglia carismatica
Nella Lettera per l’Anno della vita consacrata (2014) papa Francesco parlò, forse per la prima volta almeno nella terminologia, di “Famiglie carismatiche”, composte da Istituti maschili e femminili, religiosi, membri di Istituti secolari e laici che insieme condividono lo stesso carisma: Di fatto attorno ad ogni famiglia religiosa, come anche alle Società di vita apostolica e agli stessi Istituti secolari, è presente una famiglia più grande, la “famiglia carismatica”, che comprende più Istituti che si riconoscono nel medesimo carisma, e soprattutto cristiani laici che si sentono chiamati, proprio nella loro condizione laicale, a partecipare della stessa realtà carismatica10.
Gli antichi Ordini hanno una lunga esperienza in merito: il medesimo carisma è vissuto in modalità consacrata maschile (primo ordine), in modalità consacrata femminile (secondo ordine), in modalità laicale (terzo ordine). Attorno ai diversi Ordini è poi sorta una costellazione di Istituti che si ispirano al medesimo carisma. Ma anche una congregazione come quella di cui faccio parte, i Missionari Oblati di Maria Immacolata, con- divide il proprio carisma con una quarantina di Istituti di vita consacrata e secolari e con un numero indefinito di associazioni laicali.
Gli appelli che papa Francesco ha rivolto in questi anni alle Famiglie carismatiche sono stati un invito pressante alla condivisione dei carismi all’interno dell’unico carisma. Particolarmente significative le parole rivolte ai Camilliani in occasione del loro capitolo generale:
Dal carisma suscitato inizialmente in San Camillo, si sono via via costituite varie realtà ecclesiali che formano oggi un’unica costellazione, cioè una “famiglia carismatica” composta di religiosi, religiose, consacrati secolari e fedeli laici. Nessuna di queste realtà è da sola depositaria o detentrice unica del carisma, ma ognuna lo riceve in dono e lo interpreta e attualizza secondo la sua specifica vocazione, nei diversi contesti storici e geografici. Al centro rimane il carisma originario, come una fonte perenne di luce e di ispirazione, che viene compreso e incarnato in modo dinamico nelle diverse forme. Ognuna di esse viene offerta alle altre in uno scambio reciproco di doni che arricchisce tutti, per l’utilità comunione e in vista dell’attuazione della medesima missione. [...] Cari fratelli e sorelle, vi incoraggio a coltivare sempre tra voi la comunione, in quello stile sinodale che ho proposto a tutta la Chiesa, in ascolto gli uni gli altri e tutte e tutti in ascolto dello Spirito Santo, per valorizzare l’apporto che ogni singola realtà off e all’unica Famiglia, così da esprimere più compiutamente le molteplici potenzialità che il carisma racchiude. Siate sempre più consapevoli che “è nella comunione, anche se costa fatica, che un carisma si rivela autenticamente e misteriosamente fecondo” (Evangelii gaudium, 130)11.
Oggi vi è una “Associazione Famiglie carismatiche in dialogo”, riconosciuta e fatta propria dalle due Unioni di Superiore e Superiori generali, che raduna regolarmente molte Famiglie carismatiche. È una via concreta per facilitare la reciproca conoscenza, relazione e amicizia tra i membri delle Curie Generalizie e delle Associazioni che appartengono alle varie Famiglie carismatiche; per favorire lo studio in comune dell’identità, della funzione e delle sfide delle varie componenti di ogni Famiglia carismatica; per condividere le esperienze in atto; per sostenere la ricerca dei metodi più idonei per un più efficace sviluppo e azione; per promuovere effettivamente l’impegno nei diversi campi della nuova evangelizzazione.
Senza questo respiro ampio che viene dalle molteplici modalità di vivere il medesimo carisma, un Istituto rischia di atrofizzarsi. Nella misura in cui siamo capaci di lasciare che persone di vocazioni diverse attualizzino il comune carisma nel loro ambiente, e secondo la natura della loro vocazione, esso potrà esprimersi in modo nuovo, creativo, e quindi aiutare reciprocamente tutti i gruppi che a esso afferiscono a una sua migliore comprensione. Dunque: cammino sinodale all’interno della medesima Famiglia carismatica.
3. Carismi in relazione tra di loro
Veniamo ora al terzo livello di comunione, quello tra carismi diversi.
Il 6 giugno 2025, per la prima volta papa Leone ha avuto occasione di esprimersi in merito, incontrando rappresentanti di tre differenti carismi: Terz’Ordine Regolare di San Francesco, Società delle Missioni Africane, Istituto dei Servi del Paraclito. Ha messo in luce la varietà e l’unità, la bellezza della loro armonia nell’unica Chiesa di Dio: «Voi qui rappresentate tre realtà carismatiche nate in momenti diversi della storia della Chiesa, in risposta ad esigenze contingenti di varia natura, ma unite e complementari nella bellezza armonica del Corpo mistico di Cristo (cfr Cost. dogm. Lumen gentium, 7). Carissimi, grazie per la vostra visita, che oggi in questa sala ci mostra la Chiesa in tre dimensioni luminose della sua bellezza».
È inconcepibile vivere il proprio carisma ed esercitare il ministero ad esso legato al di fuori della comunione con tutti gli altri carismi e ministeri. Soltanto nel rapporto di unità si comprende la radice comune che li unisce tra loro e il “divino” che ognuno di essi esprime. Nello stesso tempo in questo rapporto di unità si può cogliere la peculiarità di ciascuno e giungere a una graduale acquisizione sperimentale della “mirabile varietà” di cui la Chiesa è ricca. Questo fa sentire il proprio carisma e il proprio Istituto non come una realtà assoluta, ma come parte di una realtà più vasta, inserita in un organismo vivente.
Ogni carisma, ha insegnato l’apostolo Paolo, è un dono per tutta la comunità e, nello stesso tempo, ha bisogno del dono degli altri carismi. Siamo cattolici, trasparenti, aperti gli uni agli altri, pronti a donare come a ricevere, vivendo la “comunione dei santi”, la realtà della Chiesa comunione: “tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa [attualizzando, potremmo dire: Francesco, Ignazio, Teresa d’Avila, ma anche padre Pio, Madre Teresa, Escrivá de Balaguer, Chiara Lubich…] il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (cfr. 1Cor 3,22-23). Illuminante questo testo di Paolo dove le molte appartenenze confluiscono nell’unica definitiva appartenenza, in Cristo, a Dio. Che respiro grande, che vastità di orizzonti, che liberazione dal miope particolarismo.
La Madre Chiesa nella liturgia ci nutre con gli scritti dei padri e dei santi di tutti i tempi, di tutti i luoghi, di tutte le correnti spirituali; ci fa celebrare le loro feste, ce li propone come esempi, sicura che se un francescano è attento all’insegnamento sull’orazione di Teresa d’Avila con ciò non lascia il cammino di san Francesco, se un benedettino legge san Francesco di Sales non devia dalla sua strada.
La condivisione è nella natura del carisma. Sì, «nessun carisma basta da solo», come titola un suo libro Rino Cozza. La comunione tra i diversi carismi è un’esperienza davvero arricchente: si contempla la varietà, la bellezza e ciò è fonte di gioia, di comunione ecclesiale.
L’invito rivolto dall’Istruzione Ripartire da Cristo costituisce un chiaro programma in merito:
La comunione che i consacrati e le consacrate sono chiamati a vivere va ben oltre la propria famiglia religiosa o il proprio Istituto. Aprendosi alla comunione con gli altri Istituti e le altre forme di consacrazione, possono dilatare la comunione, riscoprire le comuni radici evangeliche e insieme cogliere con maggiore chiarezza la bellezza della propria identità nella varietà carismatica, come tralci dell’unica vite. Dovrebbero gareggiare nella stima vicendevole (cfr. Rm 12, 10) per raggiungere il carisma migliore, la carità (cfr. 1 Cor 12, 31). […] Non si può più affrontare il futuro in dispersione. È il bisogno di essere Chiesa, di vivere insieme l’avventura dello Spirito e della sequela di Cristo, di comunicare le esperienze del Vangelo, imparando ad amare la comunità e la famiglia religiosa dell’altro come la propria. Le gioie e i dolori, le preoccupazioni e i successi possono essere condivisi e sono di tutti. Anche nei confronti delle nuove forme di vita evangelica si domanda dialogo e comunione (n. 31).
Oggi si parla tanto di “fare rete” tra gli Istituti, il che è importante, ma non basta. La collaborazione e condivisione di risorse, competenze, azioni tra organizzazioni in vista di un obiettivo comune è certamente strategica. Ma nel solo “fare rete” ci può essere ancora qualcosa di utilitaristico, o egoistico… molto diverso dal vivere la “mistica dell’incontro”, la comunione che richiede la gratuità del dono, mentre «ogni incontro vero con un carisma è l’incontro con una voce che interpella innanzitutto la gratuità»12. Ovviamente ciò impegna, costa…
«Camminare insieme significa essere tessitori di unità», ci ricordava papa Francesco nel suo messaggio per la Quaresima del 2025.
Sarà bene, al riguardo, ricordare i molti organismi (il SEDOS è uno di questi) che lavorano per la comunione e le collaborazioni tra carismi diversi.
4. Carismi in relazione con le diverse vocazioni ecclesiali
Ogni Famiglia carismatica è chiamata a pensare e vivere il proprio carisma nel più ampio orizzonte della comunione ecclesiale, attenta a tutte le componenti del popolo di Dio, a cominciare da quelle laicali.
La prima volta che papa Leone parla dei carismi, lo fa in questo contesto sinodale. Vale la pena ascoltare parte della sua omelia alla Veglia di Pentecoste con i Movimenti, le associazioni e le nuove comunità, il 7 giugno 2025:
La sera della mia elezione, guardando con commozione il popolo di Dio qui raccolto, ho ricordato la parola “sinodalità”, che esprime felicemente il modo in cui lo Spirito modella la Chiesa. In questa parola risuona il syn – il con – che costituisce il segreto della vita di Dio. Dio non è solitudine. Dio è “con” in sé stesso – Padre, Figlio e Spirito Santo – ed è Dio con noi. Allo stesso tempo, sinodalità ci ricorda la strada – odós – perché dove c’è lo Spirito c’è movimento,’è cammino. Siamo un popolo in cammino. Questa coscienza non ci allontana ma ci immerge nell’umanità, come il lievito nella pasta, che la fa tutta fermentare. L’anno di grazia del Signore, di cui è espressione il Giubileo, ha in sé questo fermento. In un mondo lacerato e senza pace lo Spirito Santo ci educa infatti a camminare insieme. La terra riposerà, la giustizia si affermerà, i poveri gioiranno, la pace tornerà se non ci muoveremo più come predatori, ma come pellegrini. Non più ognuno per sé, ma armonizzando i nostri passi ai passi altrui. (…) Carissimi, Dio ha creato il mondo perché noi fossimo insieme. “Sinodalità” è il nome ecclesiale di questa consapevolezza. È la via che domanda a ciascuno di riconoscere il proprio debito e il proprio tesoro, sentendosi parte di un intero, fuori dal quale tutto appassisce, anche il più originale dei carismi. Vedete: tutta la creazione esiste solo nella modalità dell’essere insieme, talvolta pericoloso, ma pur sempre un essere insieme. (…). Siate dunque legati profondamente a ciascuna delle Chiese particolari e delle comunità parrocchiali dove alimentate e spendete i vostri carismi. Attorno ai vostri vescovi e in sinergia con tutte le altre membra del Corpo di Cristo agiremo, allora, in armoniosa sintonia. Le sfide che l’umanità ha di fronte saranno meno spaventose, il futuro sarà meno buio, il discernimento meno difficile. Se insieme obbediremo allo Spirito Santo!
Il giorno precedente aveva raccomandato:
Questa unità, che voi vivete nei gruppi e nelle comunità, estendetela ovunque: nella comunione con i Pastori della Chiesa, nella vicinanza con le altre realtà ecclesiali, facendovi prossimi alle persone che incontrate, in modo che i vostri carismi rimangano sempre a servizio dell’unità della Chiesa e siano essi stessi “lievito di unità, di comunione e di fraternità” (cfr Omelia, 18 maggio 2025) nel mondo così lacerato dalla discordia e dalla violenza.
L’esortazione apostolica Christifideles laici aveva sottolineato, a più riprese, la circolarità o pericóresi delle diverse vocazioni nella Chiesa, la loro intima reciprocità, la loro vicendevole dipendenza. Afferma ad esempio:
Nella Chiesa comunione gli stati di vita sono tra loro così collegati da essere ordinati l’uno all’altro. Certamente comune, anzi unico è il loro significato pro- fondo: quello di essere modalità secondo cui vivere l’eguale dignità cristiana e l’universale vocazione alla santità nella perfezione dell’amore. Sono modalità insieme diverse e complementari, sicché ciascuna di esse ha una sua originale e inconfondibile fisionomia e nello stesso tempo ciascuna di esse si pone in relazione alle altre e al loro servizio. (n. 55)
L’esortazione apostolica Vita consacrata, a sua volta richiama i «rapporti reciproci» che intercorrono tra le varie forme di vita, «al servizio l’una dell’altra, per la crescita del Corpo di Cristo nella storia e per la sua missione nel mondo» (n. 31). Il documento parla anche della necessità di un mutuo rapporto di comunione per la perfezione della vita e dell’apostolato fra laici, sacerdoti e religiosi13.
L’Istruzione Ripartire da Cristo nota che la presa di coscienza della vocazione laicale (che riconosce nei laici dei cristiani a pieno titolo e, per il fatto di essere cristiani, chiamati alla santità e alla missione al pari delle persone consacrate) è «motivo di gioia per le persone consacrate; sono ora più vicine agli altri membri del popolo di Dio con cui condividono un comune cammino di sequela di Cristo, in una comunione più autentica, nell’emulazione e nella reciprocità, nell’aiuto vicendevole della comunione ecclesiale, senza superiorità o inferiorità» (n. 13).
L’Istruzione prende atto che «si sta instaurando un nuovo tipo di comunione e di collaborazione all’interno delle diverse vocazioni e stati di vita, soprattutto tra i consacrati e i laici». Rileva poi alcune linee concrete di collaborazione: «Gli Istituti monastici e contemplativi possono offrire ai laici una relazione prevalentemente spirituale e i necessari spazi di silenzio e di preghiera. Gli Istituti impegnati sul versante dell’apostolato possono coinvolgerli in forme di collaborazione pastorale. I membri degli Istituti secolari, laici o chierici, entrano in rapporto con gli altri fedeli nelle forme ordinarie della vita quotidiana» (n. 31).
I laici, da parte loro, cosa offrono a religiose e religiosi? Se in altri tempi sono stati soprattutto i religiosi e le religiose a creare, nutrire spiritualmente e dirigere forme aggregative di laici, oggi può succedere che siano i laici e i nuovi Movimenti ecclesiali, con forte maggioranza di laici, con la loro forza carismatica e la loro aderenza ai bisogni della Chiesa attuale, a coinvolgere i religiosi e le religiose, e anche ad aiutarli nel loro cammino spirituale e pastorale. Lo afferma con naturalezza un passo dell’esortazione Christifideles laici: «gli stessi fedeli laici possono e devono aiutare i sacerdoti e i religiosi nel loro cammino spirituale e pastorale» (n. 63).
Accanto alle singole persone che vivono il loro impegno cristiano in maniera ordinaria nell’ambito della famiglia, della parrocchia e della comune vita sociale, la vita ecclesiale conosce molteplici forme di associazioni laicali. «La ricca varietà della Chiesa – leggiamo ancora in Christifideles laici – trova una sua ulteriore manifestazione all’interno di ciascun stato di vita. Così entro lo stato di vita laicale si danno diverse “vocazioni”, ossia diversi cammini spirituali e apostolici che riguardano i singoli fedeli laici. Nell’alveo d’una vocazione laicale “comune” fioriscono vocazioni laicali “particolari”» (n. 56). Si tratta di associazioni di preghiera, caritative, di impegno culturale, sociale… Spesso nascono e si organizzano in base ad una autentica vocazione particolare.
In realtà, questa visione della reciprocità delle vocazioni nella Chiesa è iscritta in una pagina luminosa della Costituzione conciliare sulla Chiesa: «In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, di maniera che il tutto e le singole parti si accrescono con l’apporto di tutte, che sono in comunione le une con le altre, e coi loro sforzi si orientano verso la pienezza dell’unità. Ne consegue che il Popolo di Dio, non solo si raccoglie da diversi popoli, ma in sé stesso si sviluppa mediante l’unione di vari ordini» (LG 13).
La sfida è dunque quella di ritrovare una più profonda comunione tra tutte le componenti del popolo di Dio così da rispondere all’unica missione. Un’unità che non mortifica le pluralità di vocazione e delle modalità di vivere il Vangelo, ma che anzi le presuppone e le favorisce. Non si possono condurre cammini paralleli all’interno della Chiesa.
Ogni carisma è chiamato a “perdersi” nella comunione ecclesiale entrando nella Chiesa locale e donandosi, per poi tornare alla propria realtà carismatica arricchito dalla comunione con tutte le altre vocazioni. Da sola ogni istituzione religiosa non potrà avere la luce e la forza per affrontare la complessità della società odierna. Dobbiamo metterci insieme, non tanto per concertare strategie comuni – anche queste se e quando sono necessarie – ma soprattutto perché dall’unità, dalla presenza del Signore che dona il suo Spirito, venga ad ogni singolo Istituto la luce per leggere i segni dei tempi, per comprendere l’essenza del proprio carisma, per trovare le vie della sua attuazione oggi.
5. Carismi in relazione con il mondo
Infine, i carismi sono chiamati a porsi in relazione con il mondo, proprio secondo la loro natura: il loro respiro è l’umanità intera. La sinodalità è un cammino a tutto campo. Il carisma non fa vivere per sé stessi, ma proietta “fuori di sé”, in costante donazione, unica via perché esso diventi realmente ciò per cui è nato: vive, si “aggiorna”, si apre al futuro nella misura in cui si lascia interpellare dalle domande e dalle necessità sempre nuove a cui è chiamato a rispondere. L’“essere Chiesa in uscita”, il movimento verso le “periferie”, non costituiscono soltanto un metodo pastorale, un porre in atto il carisma, ma un metodo ermeneutico per la sua comprensione e il suo sviluppo. Il carisma lo si comprende mettendolo in gioco con la storia, lasciandolo interpellare da essa, nel contatto concreto e quotidiano con le persone in mezzo alle quali è chiamato a vivere e operare e a cui è inviato. Siamo chiamati a camminare con tutti!
Ci si umanizza a contatto con l’umano, con le persone concrete, lì dove esse vivono, nelle periferie fisiche ed esistenziali, senza tirarsi fuori in nicchie protette: toccare le mani del povero al quale si fa l’elemosina, farsi prossimi, impregnarsi dell’odore delle pecore, senza aver paura di esprimere tenerezza, affetto, vicinanza, superando la cultura dello scarto, contestando la globalizzazione dell’indifferenza…
La prima “riforma” della Chiesa, ha affermato papa Francesco, «deve essere quella dell’atteggiamento… riscaldare il cuore delle persone, camminare nella notte con loro, saper dialogare e anche scendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi»14. Sono proposte profetiche, la loro attuazione sembra difficile, anzi impossibile. Esse devono comunque restare davanti a noi, con tutta la forza provocatoria, in modo da man- tenere viva l’inquietudine e il desiderio del di più.
Il carisma lo si comprende e conserva la sua profetica vitalità coltivando la passione per tutto l’uomo e per tutti gli uomini del proprio tempo e nel proprio ambiente, mettendosi umilmente in atteggiamento di ascolto, di amorevole ricerca, di assoluta disponibilità. Prossimità con gli uomini e le donne di oggi significa accogliere e condividere i valori di cui essi sono portatori, le aspirazioni che li animano, i bisogni e le angosce che li attanagliano, calarsi nel presente assumendo tutto ciò che è umano, ed essere uomini e donne accanto agli uomini e alle donne del nostro tempo, pienamente incarnati, perché solo dal di dentro si possono portare speranza e redenzione. Siamo chiamati ad aprire il raggio della carità apostolica a tutti gli uomini, specialmente ai più lontani, a tendere l’arco del dialogo fino dove osa la carità che tutto crede, tutto spera, tutto sopporta…
6. Un metodo per la comunione
Perché la condivisione – nella relazione e nel dialogo – raggiunga quella profondità che conduce alla piena identità è necessario un “metodo”, nel senso originario del termine greco: “un cammino da seguire insieme”.
Subito viene alla mente il cammino paradigmatico dei due discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-32). Il Risorto, accompagnandosi ad essi – è lui la Via –, dierméneusen, letteralmente: fece ermeneutica, spiegò, interpretò la Scrittura. Vi è, in questo accompagnamento, un grande insegnamento ermeneutico. Quell’unirsi del Risorto al viaggio che i discepoli stavano compiendo sta a indicare come la vita del- la Chiesa sia un viaggio, e come Cristo continui a essere il viaggiatore che ancora vi si accompagna. E se vedessimo in quei due viandanti i rappresentanti di due carismi? Potrebbe essere una indicazione per come compiere il “cammino sinodale”. Sappiamo che questa parola, sinodo, proviene dal greco, col significato di “percorrere la strada insieme”. Non ricordiamo invece che c’è un’altra bella parola latina che parla del camminare insieme: “co-ire”, da cui viene “comes”, il nostro “compagno”, colui con il quale si compie un comune viaggio: il “compagno di viaggio”.
Camminare insieme, come compagni, con il Compagno che si affianca e fa ermeneutica, “spiega il carisma” … Come? Possiamo rileggere una preziosa indicazione di Perfectae caritatis: «Con l’amore di Dio diffuso nel cuore per mezzo dello Spirito Santo la comunità come famiglia unita nel nome del Signore gode della Sua presenza» (n. 15). Gode indica la stabilità di una presenza che, secondo il testo conciliare, accompagna il cammino della comunità, così come il Risorto si era fatto compagno di viaggio dei due verso Emmaus. Potremmo prenderlo ad emblema del cammino sinodale all’interno della Famiglia carismatica, tra le diverse vocazioni e carismi ecclesiali, del cammino stesso con tutti gli “uomini di buona volontà”. Come allora il Risorto, presente tra persone che vivono diversi carismi, comunicando il suo Spirito, illumina e fa ardere i cuori; consente, potremmo dire, una comprensione non soltanto intellettuale della propria identità spirituale e carismatica, ma un coinvolgimento attivo di tutta la persona, che aderisce pienamente al progetto di Dio e trova la forza per tradurlo in vita. Le “parole” evangeliche di cui ogni carisma è espressione acquistano nuova comprensione e tornano ad essere realtà vive e attuali.
Questo domanda la concordia della carità – una “comunità come famiglia unita nel nome del Signore” –, l’attuazione del “comandamento nuovo” dell’amore reciproco, “l’amore di Dio diffuso nel cuore per mezzo dello Spirito Santo”. Il nuovo comandamento dell’amore reciproco può essere attuato non soltanto tra singole persone, ma tra carismi, tra differenti vocazioni ecclesiali, e si esprime nel riconoscimento del dono dell’altro, nel rispetto e nella stima vicendevole, nel dialogo, nella collaborazione. Domanda il sapersi mettere da parte, il dimenticarsi per mettere in luce l’altro. Non imporsi, e nello stesso tempo offrire tutta la ricchezza di esperienza e di vita che il carisma ha operato nei secoli. Accogliere e valorizzare il dono dell’altro.
«Chiunque persegue con altri una finalità apostolica o chiunque è portatore di un carisma – direbbe papa Leone – è chiamato ad arricchire gli altri, spogliandosi di sé. E questo è fonte di libertà e di grande gioia» (6 giugno 2025).
L’istruzione della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica La vita fraterna in commune (1994) raccoglie al riguardo una massa di testi scritturistici a indicare la concretezza di questo cammino; vale la pena ricordarli per non rendere troppo aerea la “sinodalità”.
Le comunità riprendono quotidianamente il cammino, sorrette dall’insegnamento degli Apostoli: “amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10); “abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri” (Rm 12,16); “accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi” (Rm 15,7); “correggetevi l’un l’altro” (Rm 15,14); “aspettatevi gli uni gli altri” (1 Cor 11,33); “mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri” (Gal 5,13); “confortatevi a vicenda” (1 Tess 5,11); “sopportandovi a vicenda con amore” (Ef 4,2); “siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda” (Ef 4,32); “siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Ef 5,21); “pregate gli uni per gli altri” (Gc 5,16); “rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri” (1 Pt 5,5); “siamo in comunione gli uni con gli altri” (1 Gv 1,7); “non stanchiamoci di fare il bene a tutti, soprattutto ai nostri fratelli nella fede” (Gal 6,9-10) (n. 26).
Come tradurre queste parole evangeliche in concreti atteggiamenti di condivisione e collaborazione tra i carismi?
«Non molte missioni, ma un’unica missione. Non introversi e litigiosi, ma estroversi e luminosi». Quest’ultime parole il Papa le pronuncia il 7 giugno 2025 in Piazza San Pietro il cui colonnato diventa quasi un simbolo, «come un abbraccio aperto e accogliente», che «esprime magnificamente la comunione della Chiesa, sperimentata da ognuno di voi nelle diverse esperienze associative e comunitarie…».
(Fabio Ciardi, Oblato di Maria Immacolata, professore emerito presso il Pontificio Istituto di Teologia della Vita Consacrata Claretianum di Roma. Ha insegnato in varie università pontificie romane. Autore di numerose pubblicazioni. Dal 1995 consultore del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica; dal 2022 consultore presso il Dicastero per il Clero. Attualmente direttore del “Servizio generale degli studi oblati” presso la casa generalizia dei Missionari OMI.)
Andare alle frontiere per essere audaci nella missione, in L’Osservatore romano, 7-XI- 2022, 16.
D. Bonhoeffer, La vita comunitaria dei cristiani, a cura di Natale Benazzi, Roma 2015, p. 106.
Ibidem.
Discorso alle Catholic Fraternity of Charismatic Covenant Communities and Fellowships, 31-X-2014.
M. Bevilacqua, Fare strada insieme. La sinodalità nella vita consacrata, Rogate, Roma 2024.
R. Cozza, Nessun carisma basta da solo. La fine degli spazi chiusi, EDB, Bologna 2017, pp. 37-38.
Ivi, p. 38.
Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Scrutate, n. 78.
A. Spadaro, Svegliate il mondo. Colloquio di Papa Francesco con i Superiori Generali, in «La Civiltà Cattolica», 165 (2014/1), p. 10.
Lettera per l’Anno della vita consacrata, III, 1.
Discorso alla famiglia camilliana, 18-III-2019.
R. Cozza, Nessun carisma basta da solo, cit., p. 36.
Cfr. ibidem, nn. 18-20, e specialmente n. 55 e la fine del n. 61.
Intervista concessa a Antonio Spadaro, «La Civiltà Cattolica» 3918 (19-IX- 2013), 462.